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Anno scolastico nuovo, riti antichi. L’esempio di Padula

Il nuovo anno scolastico è ripreso per tutti gli alunni, dalla Scuola dell’infanzia agli Istituti superiori di II grado. I riti sono quelli di sempre soprattutto per i più piccoli che varcano per la prima volta la soglia di un Istituto scolastico accompagnati, secondo tradizione, dai genitori armati di macchina fotografica pronti ad immortalare la scena. Sempre più intenso è anche il rapporto tra scuola, amministrazioni locali e società civile. E’ un rito antico che, come ci segnala Miky Sormani (profondo conoscitore di archivi), ha origini antiche sia pure con modalità di diverse. E’ il caso di Padula.   

Nel fascicolo n°79. della rivista “Il Risveglio educativo” (monitore delle scuole elementari), pubblicato a Milano il 20 settembre 1892, all’interno della rubrica “Libro d’Oro” si trova un articolo che riporta le onoranze fatte “al Municipio di Padula, all’associazione liberale “I forti Lucani”, al “Circolo Carlo Alberto” e a tutta la popolazione padulese” per il loro interessamento al “completo sviluppo della scuola popolare: unica palestra di educazione civile e patriottica”. Da quanto si legge, all’epoca a Padula era già in funzione il “corso completo delle elementari”, ma mancava un luogo all’aperto dove portare gli alunni. Grazie alla cooperazione tra l’amministrazione, le associazioni e la cittadinanza, “da semplice desiderio” il “giardino d’infanzia”, con annesso “ricreatorio festivo”, nell’autunno del 1892 divenne realtà. In merito alla formazione scolastica, invece, si apprende che stavano per iniziare nello stesso periodo anche “le scuole serali di complemento”, utili anche e soprattutto per chi emigrava verso le Americhe, “con corsi speciali di disegno e di computisteria”.

Erano anni difficili con l’Italia che faticosamente cercava di uscire dall’analfabetismo che aveva caratterizzato i decenni precedenti quando chi non sapeva leggere e scrivere non aveva il diritto di voto. Nel 1861, anno in cui fu proclamato il Regno d’Italia, il diritto di voto era riservato ai soli cittadini maschi di età superiore ai 25 anni e di elevata condizione sociale. Nel 1881 il Parlamento approvò l’estensione del diritto di voto e fu ammessa anche la media borghesia; e  il limite d’età fu abbassato a 21 anni. La nuova legge, tuttavia, continuava ad escludere dal voto gli analfabeti e i nullatenenti, oltre che le donne: le città e il Nord furono in sostanza favoriti rispetto alle campagne e al Sud, dove l’analfabetismo e la povertà erano più diffusi.

Il suffragio universale, richiesto soprattutto da radicali, repubblicani e socialisti, ma anche da cattolici e liberali di Destra, che speravano che il voto dei contadini analfabeti garantisse la conservazione sociale, venne respinto dalla Camera nel giugno del 1881. Solo nel 1912 una nuova legge elettorale, promulgata da Giovanni Giolitti, avrebbe concesso agli analfabeti il diritto di voto, purché avessero compiuto 30 anni o prestato il servizio militare. La donne, invece, dovranno attendere il 1° febbraio del 1945 quando Umberto di Savoia firmò un decreto legislativo che estendeva il diritto di voto alle donne italiane. Cioè 80 anni fa.

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