
Presentato a Sant’Arsenio presso la Sala Cultura della Banca Monte Pruno, per iniziativa del Circolo e della Fondazione Monte Pruno, il romanzo di Franco Maldonato “Il mistero del sigillo reale” (Castelvecchi Editore).
Nel corso dell’incontro, oltre all’Autore, sono intervenuti Cono Federico (Direttore Generale della Banca Monte Pruno), Michele Albanese (Presidente della Fondazione Monte Pruno), il giornalista Giuseppe D’Amico e Padre Alvaro Cacciotti (Teologo, Direttore del Centro Culturale Aracoeli – Provincia di San Bonaventura dei Frati Minori).

Nel corso del suo intervento il Direttore Cono Federico ha ribadito l’impegno della Banca a sostenere la cultura come strumento di crescita collettiva e come ponte tra passato e futuro. Da parte sua il presidente della Fondazione Banca Monte Pruno, Michele Albanese, ha dichiarato che il romanzo di Franco Maldonato “non è soltanto un romanzo, ma un viaggio nella memoria collettiva, nelle pieghe più profonde e spesso dimenticate della nostra storia meridionale. Una storia che parla al presente, e lo fa con la forza delle parole e la precisione dei fatti verificatisi in un territorio che nel 1848 interessò la cronaca europea. Leggere questo libro significa capire da dove veniamo, ma soprattutto indicare la direzione giusta”.
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A dialogare con l’autore sono stati Giuseppe D’Amico, giornalista e presidente del Centro Studi e Ricerche Vallo di Diano “Pietro Laveglia”, e Alvaro Cacciotti, teologo e direttore del Centro Culturale Aracoeli della Provincia di San Bonaventura dei Frati Minori. Entrambi hanno offerto spunti di lettura interessanti, evidenziando le implicazioni storiche e simboliche del testo. A conclusione del dibattito, l’intervento dell’Autore, il quale ha confermato che il romanzo è il primo di una trilogia che, dopo avere interessato gli anni ’70, sarà seguito da altri due volumi dedicati ai due decenni successivi.
Tutto inizia nel 1968: a Sapri un giovanissimo studente assiste per caso al comizio di un deputato socialista che attacca il suo avversario politico, già Podestà e poi sindaco Dc, di avere ricevuto in eredità un anello con il sigillo reale donato dal Re delle Due Sicilie a un suo antenato e del quale si sono perse le tracce. “Il mistero del sigillo reale” non è solo un romanzo di formazione. È anche (e soprattutto) un viaggio intergenerazionale di un ragazzo degli anni Settanta che vuole raccontare ai Millennials un mondo che non esiste più. Uno spazio sociale dominato dalla “passione”, che non è una parola qualsiasi: è l’elemento che prende per mano i sostantivi amore e politica, e che in un certo senso ne costituisce il nucleo più profondo.
Poi c’è l’ambientazione: in ogni pagina del romanzo c’è il Cilento, anche se con una intonazione diversa da quella utilizzata alla fine degli anni Cinquanta da Pier Paolo Pasolini, che in sintesi lo descriveva come un territorio schiacciato dai capricci dei signorotti locali e da una diffusa ignoranza. Il Cilento è terra di moti e di rivoluzionari, di grandi “passioni” – ben delineate da Maldonato – che accompagnano quasi per codice genetico chi rifiuta le imposizioni dei dominatori che per secoli (forse millenni) hanno cercato di imporre, senza riuscirvi, la propria legge. Non manca un messaggio ai giovani: il “vecchio” non sono solo l’avvocato e l’onorevole, ma l’eredità che ci hanno lasciato: la mancanza di una coscienza civica. Il “vecchio” è continuato, come dimostrano alcune vicende di Sapri che l’Autore indica: la rivolta per l’apertura dell’Ospedale nel 1978 e la questione urbanistica di una cittadina che potrebbe vivere di turismo.Lo aveva capito, e denunciato, Pier Paolo Pasolini nel suo reportage del 1959. Nel tragitto verso Vallo Lucano, attraversando al buio le strade vicino Agropoli, scrive: “la notte nel Meridione è ancora quella di molti secoli fa”. Quindi, riportando un pensiero scritto da Boccaccio 700 anni prima, cioè che la costa tra Sapri e Maratea è la più bella del mondo, aggiungeva: “[…] Qui la bellezza produce direttamente ricchezza. La gente vive in una specie di agio tranquillo, lasciando che la bellezza lavori per lei”.
E questo impone un ulteriore interrogativo: al Sud sappiamo approfittare di tanta bellezza?