Di Carmine Pinto
L’Europa non è scontata. Lo afferma l’imperialismo russo, che descrive il continente come una realtà fragile ed effeminata. Lo scrivono i nuovi leader americani, che parlano degli europei come parassiti di risorse e soldati statunitensi. Si tratta di una valanga sconvolgente per l’Unione. Se fino a poco tempo l’Europa si considerava al centro di un processo inarrestabile di libertà e ricchezza, oggi è costretta a difendere l’Ucraina dall’attacco russo, le sue ragioni dalle accuse trumpiane, quello che rappresenta come spazio liberale dai discorsi di autocrati iraniani o turchi.
Nel discorso putiniano l’Europa è un continente debole, ha subito il contagio dalle libertà politiche, sociali, sessuali; è incapace di usare la forza per difendersi, ha superato la Guerra fredda solo grazie all’ombrello protettivo americano. Nonostante questo, sul terreno ideologico l’Europa è considerata una potente minaccia. L’invasione dell’Ucraina fu giustificata, a parte una serie di sciocchezze come l’espansione della Nato (a cui pure dava fiato in un certo propagandismo) come una denazificazione, intesa come de europeizzazione. Per i putiniani, l’Ucraina era il vettore di un potenziale contagio della Russia (e della Bielorussia) di quei modelli sociali liberali e libertari, intesi come immorali, soprattutto ritenuti pericolosi per il potere di autocrati, dittatori ed oligarchi.
Il discorso trumpiano, per quanto disarticolato e confuso, è brutale nel contrapporre la rappresentazione di Europa debole e parassitaria alla sua visione potente, aggressiva, rozza dell’America. Si tratta di una rottura epocale. L’America è largamente figlia dell’emigrazione europea (anche se ora latini e asiatici sono giunti in massa), integrando istituzioni, lingue, culture come parte dello spazio euro-atlantico. Trump contesta uno schema di fondo, l’idea di America ed Europa come cuore inseparabile dell’Occidente, a sua volta inteso come spazio liberale, democratico, capitalista; il luogo dove i diritti, la democrazia, il benessere sociale sono diventati principi universali. La sua versione dell’America può affermarsi solo gridando il suo primato, liberandosi della zavorra europea.
Un discorso (quello di Trump) e una violenza (quella di Putin) che entusiasmano più o meno quasi tutti i dittatori di area, dall’autocrate di Istanbul al rozzo egoismo di Orban allo spietato volto di Lukashenko. Tutti pensano a una grande opportunità, per rafforzare il potere, reprimere gli oppositori, ampliare le alleanze, consolidare le basi predatorie dei propri regimi. Paradossalmente è questa la forza dell’Europa (e dei valori occidentali), la rappresentazione di straordinario luogo di libertà e civiltà, una idea per cui i democratici combattono in Ucraina, vanno in carcere a Minsk e Istanbul, manifestano in Serbia, lottano in Georgia, muoiono a Mosca.
I nemici dell’Europa hanno mostrato però i punti deboli. L’Europa si è sviluppata come una alleanza di stati per il benessere (e per la civilizzazione), diventando uno degli spazi più liberi della storia umana. Una società però offuscata da una serie di retoriche, capaci di evitare nodi cruciali: la mancanza di un attore istituzionalmente forte (una federazione capace di processi decisionali); l’assenza di una realtà militarmente efficace (con forze convenzionali e nucleari adeguate); la rinuncia una identità ideologicamente potente (con la rivendicazione dei principi occidentali). Queste retoriche avevano indebolito su più fronti l’Europa, anche se la presidenza Biden aveva mantenuto insieme l’Occidente libero e la Nato (e l’Unione aveva gestito con successo la pandemia cinese).
Quando all’imperialismo putiniano si è aggiunto il disprezzo trumpiano, sono definitivamente emerse le retoriche dell’Europa del benessere, ma anche la forza dei suoi avversari interni, sedimentati in senso antieuropeo e antioccidentale. Così il populismo antipolitico ne ha aggredito le istituzioni; il pacifismo ideologico ha cercato di paralizzarne la difesa; i radicalismi di destra e sinistra ne hanno aggredito i valori. I passaggi dei prossimi giorni sono una verifica potente, partendo dalla riunione di Parigi. Si tratta di affermare che l’Europa si difende affrontando i propri nemici esterni, iniziando a definire una politica di potenza senza la quale è impossibile una società libera ed aperta.
Il piano di riarmo è un primo ed importante passo, la difesa dell’Ucraina è il passaggio cruciale dell’esistenza di questa Europa (anche con l’estensione dell’art.5, i diritti Nato senza Nato); sarà necessario un programma di lungo respiro, che giunge alla formazione di un arsenale nucleare, e al coinvolgimento di una società narcotizzata nell’obiettivo della propria difesa. Parigi, in prospettiva, continua il confronto tra un insieme di stati (con l’Inghilterra) che, pur mantenendo governi e istituzioni autonome, sono parte di una realtà intrecciata, con potenziali integrazioni per energia, industria pesante, satelliti, digitale, telefonia. Iniziare ad affiancare la gestione di un terribile crisi, con l’obiettivo di unificare, coordinare e rendere più efficaci i processi decisionali.
L’Europa potrà affrontare i propri nemici se andrà oltre, se sarà capace di firmare un trattato, costruire un patto, accettare la sfida del secolo. Senza nasconderne il contenuto intensamente ideologico: si tratta di ribadire l’importanza dei principi liberali e la loro universalità, il contributo storico dell’Europa alla democrazia e allo sviluppo globale, i valori di libertà civile, politica e sessuale. Si tratta di affermare una opportunità che non è solo per il continente, ma per tutti coloro che vi aspirano oggi in ogni angolo del mondo. Quella di raccontare, lottare, rischiare, per una democrazia liberale che non smetterà difficoltà e contraddizioni, ma sarà sempre infinitamente migliore del mondo di Putin, di Khamenei, di Maduro e di XI.
CARMINE PINTO