Di Carmine Pinto
Il neo-pacifismo è una arma efficace. Meloni e Schlein devono farci i conti. Il programma di riarmo ha unificato i paesi europei. Laburisti, conservatori, socialisti, democristiani, liberali convergono su questa linea. In Italia invece il sistema politico è in difficoltà. Non è un caso. Il neo-pacifismo ideologico ha qui una storia più forte e penetrante che in altre democrazie occidentali. Non si tratta certo del pacifismo come principio morale-politico, impegnato a risolvere conflitti civili o crisi imperiali con strumenti del dialogo, anche in tradizioni italiane cattoliche e liberal-socialiste, ma concreto solo in contesti aperti. Il caso più celebre, il nazionalismo pacifista di Gandhi, si sviluppò nell’impero britannico, istituzione liberale per eccellenza anche nella dimensione intensamente coloniale: la pace era inseparabile conseguenza dell’affermazione di libertà ed indipendenza.
Il neo-pacifismo ha una natura opposta e, come si è visto nel confronto sul piano di riarmo europeo, conserva la sua potenza come arma di politica interna. In Italia è funzionale al posizionamento in partiti, coalizioni, sistema politico, attraverso parole d’ordine basate su contrapposizioni incondizionate: guerra/pace; armi/disarmo; piazza/eserciti; arcobaleno/nazioni. Il neo-pacifismo evita analisi complesse, è distante dalle premesse universali che invece muovono il pacifismo morale. Inoltre, ha caratteri riconoscibili: si sviluppa solo nei contesti democratici, serve al consenso elettorale; consolida gruppi dirigenti in difficoltà; delegittima gli avversari; è sempre utilizzato da potenze esterne.
Iniziò negli anni Cinquanta, nella fase più aspra della Guerra fredda. La sinistra marxista, su indicazione sovietica, organizzò la declinazione italiana del movimento dei Partigiani della pace. Serviva per delegittimare la scelta occidentale e l’adesione alla NATO voluta Alcide De Gasperi, difendere l’URSS di Stalin, consentire una resa dei conti tra le forze socialiste (i socialdemocratici erano al governo). Così, fino agli anni Ottanta. L’URSS di Breznev tentò di ribaltare l’equilibrio nucleare nel continente, schierando i missili balistici sovietici. USA ed Europa, con in testa i governi tedesco ed italiano (erano i tempi di Cossiga e Craxi), risposero con le armi occidentali. In Italia si organizzò un movimento contro questa scelta difensiva, ma a senso unico. Ai neo-pacifisti garantì una mobilitazione (il consenso a senso unico), un nemico da delegittimare (il pentapartito), un avversario interno (il duello a sinistra contro il Psi di Craxi) e, implicitamente, la simpatia sovietica. In ogni caso, il movimento non fermò il governo, che invece contribuì al crollo del regime sovietico.
Questo fenomeno si ripresentò ciclicamente (Kuwait, Kosovo, Afghanistan, Iraq) ma con effetti politici minori. Solo tre anni fa, con l’aggressione russa all’Ucraina, il neo-pacifismo è tornato con innovativi strumenti, come talk show e social media efficaci nel produrre messaggi rapidi (ancora una volta lontani dal pacifismo morale, indissolubilmente legato ai principi di libertà ed indipendenza). Si è mobilitato per alimentare una alternativa alla politica euro-occidentale e filo-Ucraina dei governi Draghi e Meloni; come mezzo di competizione nelle coalizioni di governo ed opposizione (Lega versus resto della maggioranza/M5S versus Partito democratico); come produttore di messaggi stereotipizzanti per la parte fragile e impaurita dell’opinione pubblica; come narrazione neutralizzante su cui ha investito la disinformazione putiniana (e non solo). Questa contrapposizione ad uno schieramento responsabile, condiviso da larga parte di governo e opposizione, non ha modificato l’orientamento politico del paese.
L’arrivo di Trump ha messo però in crisi lo schema dell’alleanza occidentale a guida americana, con il sostegno indiscusso alla libertà ucraina. L’Europa ha reagito, introducendo un programma di coordinamento politico, riarmo collettivo, solidarietà diplomatica, ottenendo la convergenza di tutti i governi. Invece l’Italia è divisa e rabbiosa. Il governo deve gestire una politica di rinnovamento europeista politico-militare, avversato da un neo-pacifismo che si inserisce nella nuova politica USA, assegna forza alle narrazioni putiniane, ai distinguo della Lega, all’assalto dell’opposizione. Il partito democratico appare in difficoltà, tra una posizione di riarmo condivisa e voluta da tutti i socialisti a cui è legato, e un neo-pacifismo a lungo alimentato nella sua base, utilizzato ora come argomento dai suoi competitori (M5S e AVS). Il sistema politico è costretto così a decidere tra responsabilità nazionale/unione europeista, versus neo-pacifismo/populismo. Questa scelta verificherà la qualità dei gruppi dirigenti nazionali, in una fase di cambiamento epocale della storia europea e globale.
CARMINE PINTO