Di Giuseppe Geppino D’Amico
C’è il Cilento con i suoi problemi e il suo modus vivendi degli abitanti “nei racconti di quotidiana Giustizia” di Giuseppe Amorelli, “Avvocato di paese” (Edizioni dell’Ippogrifo) ma anche avvocato di mediazione, convinto che un avvocato non debba necessariamente spingere i clienti verso un’aula di Giustizia perché certe problematiche si possono risolvere con il buon senso. Come dire? Meglio un buon accordo che una causa vinta. Per Amorelli “la professione dell’avvocato è ancora oggi, tra tutte le professioni, la più alta e la più ricca di valori e che ora più che mai è necessario ribadire con assoluta determinazione che l’Avvocatura esercita una funzione di carattere pubblico”. Questo perché, lo ripeteva spesso Giulio Andreotti, “per vincere una causa non basta avere ragione: bisogna avere anche qualcuno che te la dia”.Con i suoi racconti Giuseppe Amorelli si rivolge ai giovani colleghi ma il libro piacerà anche ad altri lettori che avranno l’occasione di riflettere su diversi aspetti della vita di un territorio di straordinaria bellezza, il Cilento, che però non è esente da problemi tipici di una zona interna alle prese con problematiche sociali ed economiche.
Giuseppe Amorelli
Ad impreziosire il libro i disegni dell’artista napoletano Antonio Petti. Il modus operandi di Amorelli emerge in modo chiaro dalla lettura dei 27 racconti brevi e ricchi di umanità che sono il frutto della sua attività di avvocato in un territorio in cui le liti spesso ancora oggi riguardano il possesso di un terreno conteso, un prestito maledetto ed altri argomenti che si ripetono in un piccolo centro qual è San Severino di Centola dove l’Autore è nato ed è rimasto profondamente radicato al punto di esercitavi la professione. Alla porta del suo studio bussano uomini e donne, a volte per dirimere una vertenza con i vicini di casa, a volte per chiedere un semplice consiglio. Nella sua professione c’è, però, un punto fermo: “l’avvocatura deve essere libera e indipendente”. Non a caso Amorelli riporta nell’introduzione l’opinione di colui il quale considera “il grande maestro dei maestri”, l’avvocato Alfredo De Marsico che anche nelle aule di Giustizia gli avvocati chiamavano “maestro”. Questo il pensiero di De Marsico riportato nell’introduzione: “Tutto potrà tramontare, sarei per dire, perfino la funzione del giudice, ed è la più audace e inverosimile delle previsioni, ma non potrà tramontare la funzione dell’avvocato che, interprete del diritto nella legge, custode di tradizioni che crearono ed affinarono il costume ed i principi della civile convivenza, strumento vivo perciò, di una vera etica sociale, potrà prevenire in un mondo moralmente migliore l’opera del giudice, rendendo possibile la pace degli animi attraverso una giustizia che sappia attuare senza l’appello del magistrato”. Parole che in un momento come questo, non privo di polemiche tra avvocati e magistrati, assumono il valore di un monito ed emergono in modo evidente dalla lettura del libro. Ma Amorelli non racconta soltanto episodi conseguenza del suo rapporto con i clienti. Scrive l’avvocato Andrea Mascherin nella prefazione: “Quando un avvocato decide di fissare i ricordi e le esperienze della propria vita professionale in un’opera letteraria è sempre un momento di arricchimento per tutti… Passato e presente si fondono in quella funzione tecnica, sociale ed ideale, che è la funzione dei difensori dei diritti.
L’avvocato è un tecnico, chiamato ad utilizzare forme e strutture giuridiche, è un interprete delle leggi, è un compositore di liti, la voce dei cittadini, di tutti, forti e deboli”. Particolare attenzione e riflessioni richiedono l’ultimo racconto perché è una ulteriore conferma del modus operandi di Amorelli. Si intitola “La voce che mi … manca” e contiene anche l’essenza del libro. Una donna si reca nel suo studio senza avere fissato un appuntamento; con parole chiare lo invita a non essere troppo buono e ad affrontare gli ostacoli con determinazione. Gli chiede, inoltre, di risolvere un problema familiare riguardante un terreno conteso: “Vedi di convocarli nel tuo studio, in caso di rifiuto recati a casa loro, aiutali a comprendere, che la guerra non conviene a nessuno. In pace si realizza la prosperità”. È un invito ad essere avvocato di mediazione. L’avvocato così conclude: “Era la voce di mia madre”. I racconti di Amorelli pongono anche degli interrogativi sul ruolo e sulla funzione della Giustizia. È il caso del cliente che chiede “perché la scritta ‘La Legge è uguale per tutti’ è rivolta verso il pubblico, i testimoni, gli imputati e non verso il giudice?”. Evidentemente, per il cliente ci sono giudici buoni e cattivi. Non a caso, un principe del foro del secolo scorso, Francesco Carnelutti affermava scherzando ma non troppo: “Le Legge è uguale per tutti; anche la pioggia è uguale per tutti, ma chi ha l’ombrello si ripara”. Del tutto condivisibile appare la risposta all’interrogativo del cliente data dal giornalista Marcello Napoli nella postfazione: “L’avvocato è un compositore (le leggi sono le note, il pentagramma è il Codice), è un interprete ed una voce e non gli deve mai far difetto l’ascolto, un gesto d’amore, una difesa dei diritti e della democrazia”. Forse non è sbagliato affermare che il libro di Giuseppe Amorelli risuoni all’orecchio del lettore una piacevole armonia di note.