Di Giuseppe Geppino D’Amico
Dal 2005 il 10 gennaio l’Italia celebra il “Giorno del Ricordo” per commemorare le vittime delle foibe, l’esodo degli istriani, fiumani e dalmati dalle loro terre. La legge istitutiva, n. 92 del 2004, fu approvata dal Parlamento Italiano. La data del 10 febbraio fu decisa perché in quel giorno del 1947 venne firmato il Trattato di Pace di Parigi, che confermava l’annessione alla Jugoslavia di quasi tutta la Venezia Giulia e di Zara, già occupate militarmente. Tale Trattato prevedeva il Territorio Libero di Trieste sotto il controllo delle Nazione Unite. Successivamente il Territorio fu diviso in due parti: Zona A (attuale provincia di Trieste) sotto un governo militare alleato e la Zona B (Istria nord-occidentale) sotto l’amministrazione militare jugoslava. Il “Giorno del Ricordo” rimane fondamentale per ricordare le vittime del massacro e dell’esodo forzato, nonché per stimolare una riflessione sulle conseguenze che ideologie nazionaliste portate all’estremo. Tutto ebbe inizio nel 1943 con l’esodo forzato di migliaia di uomini, donne, bambini, e anziani, costretti a lasciare la loro terra, da sempre italiana, per scappare dalla ferocia di un’amara vendetta.

Ai confini fra Italia e Jugoslavia, nelle foibe, fosse di origine naturale carsiche, sono stati gettati un numero imprecisato di migliaia di persone, principalmente Italiani. Ma furono infoibati tutti coloro che si opponevano al regime comunista di Tito: vi erano quindi anche sloveni e croati. Tra gli italiani vi erano ex fascisti, ma soprattutto gente comune colpevole solo di essere italiana o contro il regime comunista. È una tragedia a più “atti”. Dopo la firma dell’armistizio dell’8 settembre 1943 esplode la prima ondata di violenza. In Istria e in Dalmazia i partigiani slavi di Tito decidono di vendicarsi contro i fascisti e gli italiani non comunisti. Torturano, massacrano, affamano e poi gettano nelle foibe circa un migliaio di persone. Successivamente nella primavera del 1945 la violenza aumenta, quando la Jugoslavia occupa Trieste, Gorizia e l’Istria. Le truppe del Maresciallo Tito si scatenano contro gli italiani. A cadere dentro le foibe ci sono fascisti, cattolici, liberaldemocratici, socialisti, uomini di chiesa, donne, anziani e bambini indistintamente. La persecuzione prosegue fino alla primavera del 1947, fino a quando, cioè, viene fissato il confine fra l’Italia e la Jugoslavia.

Quella “ferita” colpì anche la Chiesa: di sei suore scomparse da un convento di Fiume e di 76 religiosi non si è saputo più nulla. Va ricordato il sacrificio di Padre Francesco Bonifacio e don Miro Bulesic, uccisi entrambi in “odiumfidei”. Sono alcuni dei numerosi sacerdoti e suore che, dal 1943 al 1948, persero la vita gettati nelle foibe insieme a migliaia di persone, uomini e donne, colpevoli di essere Italiani. La persecuzione alla Chiesa nei suoi rappresentanti ai vari livelli, i vescovi prima di tutto che in Istria, a Fiume e in Dalmazia erano considerati rappresentanti di una potenza straniera: il Vaticano. Quindi, da perseguitare e da combattere, con l’intento di staccare le Chiese locali da Roma, per creare una nuova Chiesa nazionale, più facile da manovrare.
Don Francesco Bonifacio entrò giovanissimo in seminario e il 27 dicembre 1936 venne ordinato sacerdote a Trieste. L’11 settembre del 1946, sulla strada tra Grisignana e Crassiza, mentre faceva ritorno alla sua canonica, andò incontro alla morte: con un tranello venne arrestato e poi fatto sparire nel bosco. Fu dichiarato Beato il 4 ottobre 2008.
Don Miro Bulesic era nato nel 1920. Ordinato sacerdote l’11 aprile del 1943, fu ucciso il 24 agosto del 1947 a Lanischie. Fu dichiarato Beato da Papa Francesco il 28 settembre 2013.
Prima del ’43 in Jugoslavia, i fascisti avevano fatto aprire una serie di campi di internamento per migliaia di Jugoslavi, partigiani comunisti di Tito. Per distruggere le loro basi economiche i fascisti avevano fatto pubblicare la circolare 3C, che autorizzava a giustiziare gli ostaggi, deportare famiglie intere e a distruggere case, fattorie e bestiame. Molte delle vittime della politica italiana di spopolamento furono deportate nei campi di prigionia in Italia, altre invece vennero rinchiuse in campi di concentramento in Jugoslavia.
Giuseppe Morello
Tra le vittime delle foibe va ricordato Giuseppe Morello, nato a Teggiano il 5 gennaio 1923, ultimo di otto figli. Si arruolò nella Polizia di Stato nel 1944 e venne assegnato alla Compagnia di Milano dove rimase per tutto l’anno. Nel gennaio del 1945 venne trasferito presso la Caserma di Monfalcone (GO). Il 1° maggio del 1945, ci fu l’intervento delle truppe dell’esercito jugoslavo che iniziarono ad arrestare in massa i cittadini italiani, non solo fascisti ma anche civili, militari e membri delle forze dell’ordine italiane, tra i quali centinaia di poliziotti. Molti vennero gettati nelle foibe carsiche, altri vennero deportati in Jugoslavia. Giuseppe Morello è una di quelle vittime dimenticate. Prelevato dalla Caserma della Polizia di Stato di Monfalcone (all’epoca dei fatti in provincia di Trieste ora in provincia di Gorizia) il 03/maggio del 1945, di Giuseppe Morello si perse ogni traccia. Alla famiglia le sue ultime notizie giunsero da una ragazza della provincia di Gorizia che aveva instaurato una relazione sentimentale con Giuseppe. Il 4 gennaio 1962 il Tribunale di Sala Consilina emise sentenza di morte presunta. La certezza della sua scomparsa è arrivata nel 2006 quando la Repubblica Slovena decise di rendere nota e mettere a disposizione dello Stato Italiano una lista contenente le generalità di 1008 infoibati, tra i quali risultò esserci anche il nome di Giuseppe Morello. In occasione della giornata del ricordo del 2008, il Presidente della repubblica Giorgio Napolitano consegnava al nipote, omonimo del giovane agente scomparso, una medaglia commemorativa con annessa pergamena, a riconoscimento del sacrificio del giovane Agente di Pubblica Sicurezza. Nel 2019 la Città di Teggiano ha deciso di ricordare Giuseppe Morello dando il suo nome alla strada del centro storico che porta al Convento e alla Chiesa della Santissima Pietà”.