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Io, un valdianese al concerto di Taylor Swift a Milano: vi spiego il successo di Miss Americana – Stefano Gorga per Vallo Più

Di Stefano Gorga

Era da ben tredici anni che Taylor Swift non approdava in Italia per un concerto, da quando aveva ventuno anni ed era immersa nel successo inaspettato del suo terzo studio album “Speak Now.” Il diciannove aprile di quest’anno, invece, è uscito “The Tortured Poets Department,” il suo undicesimo studio album, assieme alla sua versione estesa denominata “The Anthology,” che comprende ben trentuno canzoni. Durante la notte del quattordici luglio, la data in cui io e altre centomila persone abbiamo assistito al suo concerto allo stadio San Siro di Milano, Taylor non ha potuto ignorare le nostre grida di gioia, a detta sua le più forti che aveva sentito in quasi un anno di world tour, e ci ha promesso che per il prossimo concerto non dovremo aspettare così tanto. La folla era assolutamente catturata dalla sua magia, dal suo indescrivibile talento non solo per la scrittura, ma anche per il canto. Dopotutto si tratta di un concerto lungo quasi quattro ore, in cui la Swift canta canzoni da tutto il suo repertorio, rivisitando tutte le sue “ere,” da qui il nome del tour: “The Eras Tour.”

Personalmente, penso di trovarmi in una posizione particolare quando si tratta di giudicare imparzialmente la sua musica. Sono un suo fan da poco meno di tre anni, lei fa musica dal 2006, quindi possiamo dire che sono nuovo in questa fantastica comunità di “swifties”, come i suoi fan amano chiamarsi. Pertanto, credo di poter essere più imparziale di molti suoi fan che ormai conoscono Taylor Swift come se fosse la loro migliore amica. C’è da dire che la cantante non è mai stata molto famosa in Italia, probabilmente perché la sua precedente casa discografica “Big Machine Records” non ha investito molto sull’Europa, con le notevoli eccezioni di Regno Unito e Irlanda. Dopotutto Taylor ha iniziato la sua carriera come artista country, un genere non molto popolare qui in Europa rispetto agli USA, nonostante negli ultimi diciotto anni abbia esplorato decine di generi musicali diversi.

Tuttavia, adesso Taylor ha una casa discografica tutta sua ed è diventata il suo stesso manager. Quando una donna diventa così potente e così influente facendo musica (che molti suoi detrattori definiscono, in maniera alquanto misogina e riduttiva, “musica da ragazzine”), è normale (seppur ingiusto) che si creino gruppi di haters determinati a mostrare quanto in realtà il suo successo sia in qualche modo finto, costruito, o in generale immeritato. Molto di quest’odio insensato proviene, come già accennato, da un sentimento misogino nei confronti di una donna potente e indipendente. Si potrebbe dire che altre artiste donne come Dua Lipa o Katy Perry non siano odiate allo stesso modo, e che quindi l’odio per Taylor Swift non provenga dalla misoginia ed il sessismo. Per nulla togliere a Dua Lipa o Katy Perry o moltissime altre artiste donne di successo, nessuna (se non forse Beyoncé) si avvicina al livello stratosferico di fama della Swift. Tuttavia, non è questa l’unica motivazione. C’è una grande differenza dai temi trattati da Taylor rispetto alle altre artiste sopracitate. Nei loro testi tendono a presentarsi (giustamente, direi) come sexy, parlano spesso di sesso o argomenti ad esso vicini, o in generale parlano d’amore nel modo in cui la nostra società misogina e patriarcale concede alle donne di parlarne: come oggetti sessuali privi di una personalità, nonostante ci sia anche in questo genere di canzoni un significato più profondo e sottile.

Ora, ripeto, questo non è per nulla un demerito per l’arte di Dua Lipa, Lady Gaga, Katy Perry, etc. (sono un fan di tutte le artiste che ho citato). Ma è di certo un approccio diverso all’amore rispetto a quello di Taylor Swift. Taylor scrive di amore dalla prospettiva di un partner con pari diritti ed aspettative rispetto alla controparte maschile. Non solo, i suoi testi descrivono sentimenti estremamente complessi e raramente questi fanno riferimento alla libido dell’artista. Questo approccio non è migliore né peggiore, ma nella società in cui viviamo i sentimenti delle donne vengono spesso sminuiti a questioni banali, di cui non si ha bisogno nemmeno di parlare.

Una accusa che spesso viene lanciata alla Swift è che scrive canzoni soltanto sui suoi ex, ma per onestà intellettuale si dovrebbe accusare di ciò anche un artista come Ed Sheeran (tra l’altro amico di Taylor), però questo non accade. Non c’è altra spiegazione se non quella della misoginia, irrita il pensiero che una donna possa vivere scrivendo e cantando del proprio dolore, delle proprie gioie e della propria rabbia; che questa possa esprimersi liberamente senza ridursi ad un oggetto sessuale, che ricordi a chi l’ascolta che lei esiste e che deve essere rispettata in quanto essere umano tanto quanto gli uomini con cui si fidanza.

Ci sono critiche molto valide sui suoi comportamenti al di fuori della sua arte, così come ci sarebbero tante discussioni da avere sul valore e la qualità dell’arte stessa. Ad esempio, il suo decimo album: “Midnights,” racconta tredici notti insonni dalla vita dell’artista, riassunte in tredici canzoni. Un concetto a mio parere geniale, ma che perde di impatto quando la coesione sonica dell’album non è solida quanto dovrebbe essere. Alcune canzoni sembrano fuori luogo dato il tema principale, come “Bejeweled” e “Karma,” nonostante siano molto orecchiabili, e in generale la produzione lascia molto a desiderare. Non è difficile criticare l’arte della Swift senza ricorrere alle solite banalità come “ma suonano tutte uguali” o “ma il testo è banale,” entrambe argomentazioni molto facili da smentire. Non bisogna per forza essere un fan di Taylor Swift, ma bisognerebbe essere intenzionalmente disonesti per non riconoscere il suo talento e la sua maestria nel campo della scrittura e della composizione.

Un altro capo d’accusa nei confronti della star è che, presumibilmente, ai suoi fan è stato fatto il lavaggio del cervello e che questi siano paragonabili a una setta per quanto osannano la Swift come se fosse una santa. Anche qui ritorna la vecchia, cara misoginia. Quando un gruppo di ragazzine urla il testo della propria canzone preferita ad un concerto, sono matte da legare e Taylor le avrà messo degli psicofarmaci nell’acqua per controllar loro la mente, o altre follie del genere (“Put narcotics into all of my songs and that’s why you’re still singing along” – Taylor Swift, da “Who’s Afraid of Little Old Me?”). Tuttavia, quando la squadra di calcio del cuore vince una partita, i fan che urlano al cielo, si dipingono la faccia e, come accaduto di recente alla vittoria del ventesimo scudetto dell’Inter, portano in giro per Milano una mucca dipinta di nero e blu; loro sono completamente giustificati, si stanno solo divertendo. Io non sono contro alle critiche, alle discussioni o alle polemiche, anzi, sono il primo a lamentarsi costantemente di qualsiasi cosa, ma queste accuse ridicole, infondate e piene d’odio non provengono da una voglia genuina di avere una conversazione, di scambiarsi i propri punti di vista; bensì da un desiderio morboso e misogino di distruggere e sminuire il talento di una giovane donna di successo, e di banalizzare il suo innegabile genio musicale. Di odiare per il gusto di odiare.

Taylor Swift mi ha cambiato la vita. Ho iniziato ad ascoltare le sue canzoni durante un periodo di forte depressione dovuto ad una delusione d’amore. Per la prima volta, ascoltando i suoi testi, mi sono sentito capito a fondo. Sentivo le sue parole come i consigli di una vecchia amica che ne aveva passate tante e che, col tempo, aveva imparato ad andare avanti. Quel primo album che ascoltai: “folklore,” è diventato il mio preferito in assoluto. Scritto e composto durante la pandemia, le sue canzoni sono intime e ricolme di dolore, anzi, di milioni di sfumature diverse del dolore. “the 1” esplora il senso di rimorso che si prova quando una relazione poteva veramente sbocciare in qualcosa di grande, se solo qualcosa non fosse andato storto. “mirrorball” ci racconta di quanto l’artista si senta in dovere di mettere in mostra sé stessa insieme a tutte le sue fragilità, per tentare di placare la sua forte insicurezza, la sua paura di essere dimenticata. “Illicit affairs” mostra come il dolore si trasformi in rabbia in seguito a una relazione segreta ormai finita da tempo. Quanto l’artista si senta vuota senza colui che le aveva mostrato colori che non riesce a vedere più con nessun altro. “Hoax” riflette il desiderio di ritornare a quel dolore conosciuto, a qualcuno che ti ha fatto soffrire, ma con cui almeno hai familiarità, per tentare di sfuggire ai nuovi dolori della vita.

Potrei andare avanti per ore, ma il punto è proprio questo. Il successo di Taylor Swift si nasconde nella sua vicinanza e profonda intimità che la lega ai suoi fan, tramite i suoi testi a volte strappalacrime, a volte gioiosi, a volte ricolmi di rabbia, ma sempre sinceri e trasparenti. In un certo senso, Taylor Swift ha successo perché si comporta come una nostra vecchia amica, come se ci conoscesse nel profondo e sapesse che, certe volte, abbiamo solo bisogno di qualcuno che ci capisca a pieno.

STEFANO GORGA

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