Search

“Joe Petrosino orgoglio nazionale”: a Padula il Generale Angelosanto rende onore al poliziotto valdianese che ha inventato la lotta alle mafie

Di Elia Rinaldi – Video di Antonio Sica – Foto di Gianfranco Stabile

La morte del boss Matteo Messina Denaro ha coinciso con l’incontro svoltosi a Padula con l’uomo chiave della cattura dell’ultimo stragista di Cosa Nostra: il Generale di Corpo d’Armata Pasquale Angelosanto, comandante del Ros dei Carabinieri. In questa giornata così significativa, ritrovandosi a Padula, Angelosanto ha voluto rendere omaggio a Joe Petrosino, il super poliziotto valdianese che ha inventato la lotta alle mafie, riferendo una circostanza avvenuta nel suo ultimo viaggio di lavoro a New York: “Ho portato al Dipartimento di polizia la foto della squadra che ha arrestato Matteo Messina Denaro. Mentre guardavo le foto, ho visto in cima a tutte quella di Joe Petrosino. Ecco, ho pensato: noi italiani non abbiamo soltanto esportato la mafia all’estero, ma anche poliziotti come Joe Petrosino”. Dopo queste parole, la folla di persone presenti in sala si è alzata in piedi per applaudire l’uomo che ha arrestato l’ultimo stragista d’Italia.

GUARDA IL VIDEO CON LE IMMAGINI E LE INTERVISTE:

VIDEO CLICK SUL PLAYER PER VEDERE

All’evento organizzato dal magazine Vallo Più e moderato dallo stesso direttore della testata giornalistica, Geppino D’Amico, hanno partecipato gli studenti del Vallo di Diano, numerosi rappresentati istituzionali e i massimi vertici delle Forze dell’Ordine. Dopo i saluti della sindaca di Padula, Michela Cimino, e gli interventi del parroco di Padula, don Vincenzo Federico, del direttore della Fondazione Monte Pruno, Antonio Mastrandrea, e del consigliere regionale Corrado Matera, il giornalista Angelo Raffaele Marmo, condirettore del Quotidiano Nazionale, ha a lungo intervistato il Generale Angelosanto.

Il Comandante dei ROS, artefice dell’arresto di Messina Denaro, ha così raccontato in prima persona i retroscena delle indagini che portarono il 16 gennaio scorso alla cattura del boss di Castelvetrano, ritenuto responsabile di un numero imprecisato di esecuzioni e tra gli organizzatori del sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo – rapito per costringere il padre Santino a ritrattare le rivelazioni sulla strage di Capaci e poi strangolato e sciolto nell’acido dopo 779 giorni di prigionia. 

Polizia e carabinieri più volte sono stati a un passo dalla cattura, ma per molti anni è riuscito a farla franca, potendo contare su una fitta rete di protezione. Il Generale Angelosanto ha ricordato che ci sono voluti 12 anni di indagini per arrivare alla sua cattura. Poi la svolta. Una diagnosi che risale al 2020, in piena pandemia, quando il medico, come si legge nella cartella in possesso dell’Adnkronos, scrive il referto istologico per Messina Denaro, alias Andrea Bonafede, il nome con cui il boss era in cura. Gli inquirenti capiscono che il boss usava quello pseudonimo per curarsi.

Dalle intercettazioni di amici e parenti gli inquirenti hanno avuto la conferma che Messina Denaro era gravemente ammalato, tanto da avere subito due interventi importanti. A quel punto, sono iniziate le indagini sui pazienti oncologici con un’età compatibile con quella di Messina Denaro.

Il giorno dell’intervento quel Bonafede non era in clinica. Ecco la conferma che a usare il suo nome era un’altra persona. Le indagini si fanno ancora più serrate. Quando gli investigatori del Ros e del Gis hanno saputo che Bonafede si sarebbe dovuto presentare per la chemioterapia si sono presentati alla Maddalena. Lo hanno atteso e quando è arrivato, dopo il tampone, lo hanno fermato. “Non è stata un’operazione semplice”, ammette Angelosanto. “La clinica Maddalena di Palermo, dove abbiamo catturato Messina Denaro – ha aggiunto – è piuttosto grande, e quella mattina c’erano molti altri pazienti in attesa di cure. L’operazione di identificazione è durata circa un’ora”. Poi l’arresto. In carcere sono finiti insieme a lui decine di fiancheggiatori e uomini d’onore che ne hanno garantito la latitanza, ma anche suoi familiari.

“Le indagini sono proseguite e non si fermeranno con la morte di Matteo Messina Denaro, ma puntano a ricostruire quelli che sono stati i periodi di latitanza del boss per individuare tutti i fiancheggiatori, gli associati e le ricchezze che il latitante aveva sicuramente accantonato”. A questo proposito, il Generale Angelosanto ha sottolineato il ruolo decisivo dell’ex superlatitante all’interno di Cosa Nostra: “I mafiosi oggi puntano all’arricchimento e agli affari, come faceva appunto Matteo Messina Denaro”. Una scelta, quest’ultima, non proprio condivisa dal “Capo dei capi” Salvatore Riina, che lo accusava di dedicarsi solo agli affari.

Chi è Pasquale Angelosanto

In 42 anni di onorata carriera, ha servito il Paese tra le fila del ROS, precedentemente al Comando del RIS, il Raggruppamento Investigazioni Scientifiche dell’Arma dei Carabinieri ed in delicati incarichi territoriali, tra cui una tenenza in Sicilia, il Comando del Nucleo Operativo del Reparto Operativo del Gruppo Carabinieri di Castello di Cisterna ed il Comando Provinciale di Reggio Calabria.

L’arresto del boss Matteo Messina Denaro è solo l’ultimo successo. Non va dimenticato che nel 1992 riuscì a scovare ed arrestare un altro superlatitante: il numero uno della camorra Carmine Alfieri.  C’era la sua mano dietro le indagini sul terrorismo e sull’eversione che aveva portato agli omicidi dei giuslavoristi Massimo d’Antona e Marco Biagi, uccisi dalle Brigate Rosse. Un’altra importante indagine ha riguardato la mafia dei Nèbrodi che si riempiva le tasche con milioni di euro grazie a truffe all’Unione Europea e l’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea). Il generale è stato anche comandante del Racis (Raggruppamento carabinieri investigazioni scientifiche) le cui indagini hanno consentito di assicurare alla giustizia l’omicida di Yara Gambirasio.

Condividi l'articolo:
Write a response

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Close
Magazine quotidiano online
Direttore responsabile: Giuseppe Geppino D’Amico
Close