Nei giorni scorsi abbiamo dato notizia della visita che la signora Aurelia Werndorfer ha compito a Campagna e a Polla per conoscere i luoghi in cui lo zio Eugenio Werndorfer, fratello del padre Nicolò, era stato confinato durante il fascismo prima di essere inviato ad Auschwitz insieme ai genitori. Purtroppo, da Auschwitz nessuno dei tre ha fatto ritorno a casa. Pubblichiamo, di seguito la lettera che la Signora Aurelia ha inviato alla redazione di vallopiù.it.
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Di Aurelia Werndorfer
Lo zio Eugenio, chiamato Jenno in famiglia, nato nel 1893, era il primo dei 12 figli e figlie di Elena Schwarzenberg e Guglielmo Werndorfer, ebrei ashkenaziti giunti a Fiume dall’Austria-Ungheria nell’ultima decade dell’Ottocento. L’ultimo nato nel 1916, Nicolò, chiamato affettuosamente Mìkili in famiglia, era mio padre. Io, Aurelia, non ho potuto conoscere i nonni e lo zio Jenno, travolti dall’immane tragedia della Shoah, deportati e assassinati a Auschwitz, anni prima della mia nascita a Genova, dove tuttora vivo. Ma la loro memoria è stata mantenuta costante in famiglia e, con il trascorrere degli anni, è sorto in me il desiderio di dedicare a loro un segno tangibile, che restasse nel tempo, e cosa di più appropriato delle pietre d’inciampo? Le “Stolpersteine”, ideate dall’artista berlinese Gunter Demnig per contrastare l’oblio della tragedia delle deportazioni naziste durante la seconda guerra mondiale. Dopo varie ricerche e con l’aiuto della Prof.ssa Rina Brumini di Fiume, nell’ottobre del 2022 sono riuscita a realizzare il mio progetto e, con la partecipazione di diversi famigliari provenienti da ogni parte d’Italia, abbiamo posato tre pietre d’inciampo a Fiume, davanti all’abitazione dei miei nonni e dello zio Jenno. Per me è stato come riportarli a casa.

Questa è stata la prima tappa del mio percorso sulle orme dello zio Jenno. Avevo appreso, infatti, che lo zio, dopo la promulgazione delle leggi razziali del 1938 e delle aberranti conseguenze per i cittadini ebrei, era stato privato della cittadinanza italiana e dichiarato “apolide ex austriaco”, quindi, nel luglio 1940, arrestato con la motivazione “straniero nemico, capace di azioni dannose a danno dell’Italia”, e deportato, insieme ad altri numerosi ebrei fiumani adulti, senza colpa alcuna, a Campagna, una località del Salernitano, per essere rinchiuso nel locale campo di internamento, dove rimase per circa due anni. Nell’ottobre del 1942 fu trasferito a Polla, dove alloggiò per alcuni mesi in un appartamento, in regime di “internamento libero”, per essere poi nuovamente trasferito a Offida, nelle Marche. A luglio del 1943 fu rilasciato e fece ritorno a casa, a Fiume, dai suoi anziani genitori e dai suoi amati libri. La sua esistenza si concluse tragicamente a febbraio del 1944, quando venne arrestato dai nazisti insieme ai genitori, trasferito dapprima a Trieste, nella Risiera di San Sabba e infine a Auschwitz, da dove nessuno di loro fece ritorno.
Dopo la posa delle pietre d’inciampo, ho sentito che il successivo passo per onorare la memoria dello sfortunato zio Jenno, doveva essere una mia visita nei suoi luoghi di detenzione nel Salernitano, prima a Campagna e poi a Polla. Per una pura coincidenza, in quello stesso periodo la Professoressa Arianna Marchesano, docente della scuola media di Montesano-Tardiano, in provincia di Salerno, con la collaborazione del collega Prof. Massimo Caggianese, coinvolgeva i suoi alunni, in occasione della Giornata della Memoria, in una ricerca su Ebrei e politici avversi al Fascismo, internati in quelle zone durante il periodo bellico e veniva a conoscenza della posa delle pietre d’inciampo a Fiume. Il video realizzato a scuola, quale lavoro finale della ricerca effettuata, visualizzabile su YouTube, è estremamente coinvolgente e testimonia la capacità dei ragazzi di rendersi consapevoli dell’abominio della Shoah. Sono così entrata in contatto con Arianna Marchesano, ed è iniziato il nostro scambio di e-mail, che si è concluso con il mio viaggio nel Salernitano, insieme a mio marito, a inizio maggio 2023, sulle orme dello zio Eugenio.
Accompagnati dalla Prof.ssa Arianna Marchesano, la nostra visita è iniziata il 5 maggio nel luogo di detenzione di Campagna, l’ex convento San Bartolomeo, ora trasformato in Museo con il nome “Itinerario della Memoria e della Pace – Centro Studi Giovanni Palatucci”. E’ stata per me una grande emozione poter visitare, con l’assistenza delle competenti e cortesissime guide Rossella e Francesca, quei locali dove, per almeno due anni, aveva vissuto lo zio Jenno, potermi trovare all’interno di una stanza, fedele ricostruzione di una delle stanze occupate dagli internati, con le loro brande, i loro oggetti di uso quotidiano, i loro abiti semplicemente appesi a dei ganci alle pareti, le valigie, gli strumenti musicali, e poi la sala, adibita a Sinagoga, dove gli internati potevano liberamente praticare il loro culto. E ancora assistere ad alcune rappresentazioni proiettate sull’intera parete, dove alcuni attori impersonavano gli internati, descrivendo la vita quotidiana nel campo e le attività in collaborazione con la cittadinanza di Campagna. Particolarmente toccante è stato lo scoprire un pannello che riportava a caratteri cubitali, uno stralcio dell’elenco dei nomi di alcuni reclusi, tra cui quello dello zio Eugenio, al numero 256. Con il Direttore del Museo, Dott. Marcello Naimoli, ci siamo intrattenuti poi sulla figura di Giovanni Palatucci, al quale è intitolato il Museo, che fu l’ultimo questore italiano di Fiume, e in tale veste riuscì a salvare una grande moltitudine di ebrei, finchè, scoperto, venne deportato a Dachau, dove morì nel febbraio 1945. Il Dott. Naimoli ha ricordato anche la figura dello zio di Giovanni, Mons. Giuseppe Palatucci, Vescovo di Campagna, che tanto si adoprò per assistere e rendere meno pesante la vita degli internati.

Il giorno successivo è stato altrettanto carico di scoperte ed emozioni, con la visita a Polla, sempre accompagnati dalla cara Arianna e dalla sua famiglia, dove siamo stati accolti dal giornalista Dott. Giuseppe D’Amico, dal docente, collega di Arianna, Prof. Massimo Caggianese, nonché da Domenico Priore pronipote di Don Raffaele Baorto, Arciprete di Polla all’epoca del soggiorno obbligato dello zio Jenno. Dopo un primo giro nel centro storico di Polla con i nostri accompagnatori, abbiamo avuto l’onore e la gioia di essere ricevuti nella sala consiliare dal Sindaco Massimo Loviso, dall’Assessora Rossella Isoldi e dal Parroco Don Luigi Terranova, i quali ci hanno fornito interessanti informazioni sull’ospitalità offerta all’epoca ai confinati ebrei da parte della cittadinanza, che, come già dimostrato dalla cittadinanza di Campagna, non aveva mostrato alcun atteggiamento di emarginazione e tanto meno di ostilità razziale nei loro confronti. A Polla i confinati ebrei potevano alloggiare in appartamenti in affitto e avevano il solo obbligo di recarsi quotidianamente a firmare in Questura. Al riguardo ho potuto visionare alcuni documenti riguardanti la permanenza dello zio Eugenio, tra cui una copia della lettera di accompagnamento, presumibilmente firmata dal Vescovo di Campagna, con cui Eugenio si era presentato all’Arciprete di Polla, Don Raffaele Baorto, per essere aiutato “a cercare una stanza ove possa anche ricevere da mangiare a prezzo conveniente”. Successivamente, sempre con i nostri squisiti accompagnatori, abbiamo ripreso il giro nel centro storico, dove ho visto, tra l’altro, le case dove potrebbe aver soggiornato lo zio. Con grande emozione ho sentito la consapevolezza di calpestare le stesse strade, le stesse piazze che tanti anni prima aveva calpestato mio zio e, come il giorno prima a Campagna, ho avuto la percezione della presenza di Eugenio accanto a me, e ho provato una forte gratitudine per queste persone speciali che mi hanno consentito di vivere questa mia straordinaria esperienza. Dopo la visita al Santuario di Polla, dove ho potuto ammirare la statua di San Antonio che, nel 2010, è stata protagonista dell’evento miracoloso della lacrimazione, il mio percorso a Polla, sulle orme dello zio Eugenio, ha avuto un emozionante epilogo con la visita a un anziano abitante del luogo, 92enne, il quale si è intrattenuto con noi, ricordando che da ragazzino aveva conosciuto e avuto contatti con alcuni confinati ebrei alloggiati vicino alla sua casa.

Sono stati due giorni intensi, colmi di emozioni, il cui ricordo conserverò per sempre, con grande riconoscenza per tutti coloro che hanno voluto condividere con me questa meravigliosa esperienza, consentendomi di ricomporre un tassello della storia della mia famiglia paterna, aiutandomi a portare a termine la mia “mitzvah”, la mia buona azione, iniziata con la posa delle pietre d’inciampo a Fiume.
Aurelia Werndorfer