di GIUSEPPE GEPPINO D’AMICO
Io sono un filo d’erba
Rocco Scotellaro, 1949
un filo d’erba che trema.
E la mia Patria è dove l’erba trema.
Un alito può trapiantare
il mio seme lontano.
Tra i personaggi di cui quest’anno ricorre l’anniversario un posto di rilievo spetta a Rocco Scotellaro, “il poeta contadino”, “il giovane sindaco socialista” di Tricarico. Per lui gli anniversari sono due: il centenario della nascita e il settantesimo della morte. Nonostante la sua vita sia stata molto breve ha lasciato tracce importanti sia in ambito culturale che in quello politico e sociale.
Rocco Scotellaro nasce a Tricarico (Matera) il 19 aprile 1923 da Vincenzo, calzolaio, e da Francesca Armento, sarta-casalinga. Frequenta le scuole elementari nel paese natio per poi trasferirsi a Sicignano degli Alburni dove continua gli studi presso i Padri Cappuccini e poi, a seguito della chiusura del convitto del centro alburnino, presso i Benedettini a Cava de’ Tirreni.
Conserverà sempre un buon ricordo del periodo trascorso a Sicignano: “Avevo resistito due anni e mezzo. Il paese era annerito e fumoso, le donne che mi attorniavano avevano vocette stridule. I frati non furono un’esperienza negativa… A parte il Latino e il pane della questua, la conduzione dell’orto fatto nel convento è un mestiere utile e dedicato. Tutti gli amici prediletti, figli di contadino e di artigiani imparavano ognuno un mestiere”.
ROCCO SCOTELLARO
Conseguita la maturità nel 1942, si iscrive alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Roma, facendo l’istitutore in un collegio di Tivoli per mantenersi agli studi. Il passaggio all’Università di Napoli e poi di Bari non serve a conseguire la laurea, anche perché la morte del padre lo costringe a rientrare in paese. La difficile realtà contadina lo spinge all’impegno politico. Per tre anni svolge attività sindacale e politica anche nel Comitato di liberazione nazionale (CLN) di Tricarico.
L’amicizia con Carlo Levi.
Di grande importanza per la sua attività letteraria è il rapporto con Carlo Levi che Scotellaro conosce in occasione del primo ritorno di Levi in Basilicata, dove per la sua avversione al fascismo era stato confinato tra il 1935 e il 1936 prima a Grassano e poi ad Aliano.
Nel maggio del 1946 Carlo Levi è candidato nella lista di “Alleanza Repubblicana” con Michele Cifarelli, Mario Ferrara, Manlio Rossi Doria, Guido Dorso, Vito Gerardi e Luigi Loperfido nella circoscrizione di Potenza-Matera per le elezioni dell’Assemblea Costituente del 2 giugno.
Proprio per partecipare alla campagna elettorale Levi torna a distanza di dieci anni nei paesi che aveva conosciuto ai tempi del confino. A Tricarico incontra Rocco Scotellaro, appena ventitreenne, e così ricorderà quel primo incontro: “Arrivato sulla piazza di Tricarico mi venne incontro un giovane, piccolo, biondo, dal viso lentigginoso, che sembrava un bambino: era Rocco che mi si avvicinò col viso aperto dell’amicizia … e volle condurmi a visitare le case dei contadini e la Rabata, e le pitture dei fratelli Ferri, giù alla chiesa del Carmine e la casa di sua madre, e la sua piccola stanza”.
I risultati elettorali non sono esaltanti per la lista di Levi che, però, riterrà comunque positiva quell’esperienza che gli aveva consentito di conoscere molte persone, instaurando con alcune di loro un positivo rapporto di amicizia e di collaborazione. In particolare, oltre a Rocco Scotellaro, saranno Rocco Mazzarone e Giovanni Russo a condividerne le idee e le strategie operative sulla annosa questione meridionale.
Se per Levi il risultato del 1946 è negativo, va meglio al giovane Scotellaro, eletto sindaco di Tricarico a sorpresa e con una votazione plebiscitaria, con una lista civica che ha come simbolo L’Aratro, una formazione unitaria dei partiti di sinistra.
Scotellaro è in politica da poco: iscritto al Partito Socialista il 4 dicembre 1943, sollecitato dall’amico Tommaso Pedio e con il supporto dell’anziano calzolaio antifascista Innocenzo Bertoldo il giorno di Natale, apre a Tricarico una sezione intitolata a Giacomo Matteotti. Viene rieletto sindaco alle successive amministrative del 1948, anno in cui, in occasione delle prime elezioni politiche democratiche dopo il Ventennio Fascista, a livello nazionale il Fronte della Sinistra viene clamorosamente sconfitto.
Poco dopo la rielezione, però, per una proditoria operazione politica dei partiti di opposizione il giovane sindaco viene accusato di concussione e associato alla casa circondariale di Matera dove rimane dall’8 febbraio al 25 marzo 1950, quando viene prosciolto dall’infamante accusa con formula piena e torna in libertà. Nella sentenza di assoluzione la Sezione istruttoria della corte di appello di Potenza fa esplicito riferimento alla ‘vendetta politica’.
Provato dalla dura esperienza, nel maggio del 1950 si dimette da sindaco e decide di andare via da Tricarico. Questa dolorosa circostanza rafforza il suo rapporto con Carlo Levi e Manlio Rossi-Doria che a quel tempo dirigeva a Portici l’Istituto di Economia Agraria dell’Università Federico II di Napoli.
Il rapporto con Carlo Levi.
Carlo Levi ebbe un ruolo importante nella vicenda giudiziaria di Scotellaro e nella sua attività culturale. Questo il suo giudizio, postumo, sulla poesia del giovane lucano: “In Scotellaro la poesia fu esistenziale: anche la costruzione di un ospedale, una riunione sindacale… tutti in lui diveniva poesia; come esistenziale fu in lui il legame tra poesia e interesse sociale”.
E ancora: “Conobbi Rocco nel ’46 durante la campagna elettorale, che condussi in Lucania per il referendum; da allora fummo sempre amici. Rocco mi raccontava tutto di lui, dalle piccole vicende familiari, con relativi problemi, alle sue crisi, che furono molte e certamente ne affrettarono la fine: volle vivere in pochi anni tutta la lotta della sua gente per conquistarsi la libertà, l’autonomia, la cultura, la poesia. Fu uno sforzo troppo grande per un piccolo cuore di un giovane contadino… Quanti bivi strazianti, quante scelte, lacerazioni e lotte interne da superare, e lui solo…”.
L’amicizia con Giovanni Russo e le “sfide a morra”.
Grazie a Carlo Levi, Rocco Scotellaro stringe una forte amicizia con il giornalista Giovanni Russo, originario di Padula, all’epoca redattore del settimanale “Il Mondo” diretto da Mario Pannunzio. Giovanni Russo era quasi coetaneo di Rocco Scotellaro e, insieme, avevano frequentato, dopo la fine del fascismo, Carlo Levi e Manlio Rossi-Doria.
Qualche anno prima aveva pubblicato “Lettera a Carlo Levi”. Giovanni Russo ebbe modo di ricordare il suo rapporto con Rocco Scotellaro a Tricarico, il 10 aprile 2003, in un convegno organizzato dalla Confederazione Italiana degli Agricoltori sul tema “L’attualità di Rocco Scotellaro. Dal declino della civiltà contadina alla rinascita della ruralità”.
Russo analizzò il rapporto tra il medico-scrittore piemontese e Scotellaro. Parlò dell’amicizia di Rocco con quelli che egli definiva “i suoi due fratelli maggiori”. Lesse alcuni brani delle lettere inedite che Rocco aveva scritto a Rossi Doria (“il professore di Portici”) e all’autore del “Cristo si è fermato a Eboli”. Volle mettere in risalto il legame profondo tra Rossi-Doria e Scotellaro il quale gli confidava i suoi problemi e gli esponeva l’esigenza di trovare un impegno fuori regione.
E il professore lo coinvolse nelle attività del Centro di Portici per un’inchiesta sulle campagne meridionali. Sul rapporto intercorso tra Carlo Levi e Scotellaro Giovanni Russo osservò che “sarebbe sbagliato considerare lo scrittore lucano una filiazione dell’intellettuale torinese: “Mentre per Levi il mondo della ‘civiltà contadina’ era immerso nel mito della memoria, per Scotellaro era una realtà di cui egli interpretava il dramma presente, le aspirazioni, le contraddizioni”.
Probabilmente la stima di Giovanni Russo per Rocco Scotellaro derivava dalla stessa idea che avevano del mondo contadino. Meridionalista militante, Russo non condivideva il modello di sviluppo che si stava dando al Mezzogiorno e non aveva lesinato critiche alla creazione di grandi insediamenti chimici e siderurgici, da lui considerate “cattedrali nel deserto” ritenendo che andava privilegiata l’agricoltura di qualità, il turismo e una piccola e media industria legata alle risorse locali.
A proposito di “civiltà contadina”: entrambi meridionali, Russo e Scotellaro non disdegnavano lunghe “sfide a morra” (gioco tipico del mondo contadino meridionale) nei ristoranti romani mentre erano a cena con Mario Pannunzio, direttore de “Il Mondo”, del quale Russo era un giornalista di punta.
La collaborazione con Manlio Rossi Doria
Dopo le dimissioni da sindaco di Tricarico, Rossi Doria invita Scotellaro a collaborare con l’Istituto di Economia Agraria dell’Università Federico II di Napoli da lui diretto a Portici per redigere, su incarico della Svimez (Associazione per lo Sviluppo del Mezzogiorno) un piano di sviluppo per la regione Basilicata.
La presenza di Scotellaro si dimostra particolarmente utile per studiare, oltre agli aspetti meramente territoriali, anche le condizioni sanitarie (stato di salute della popolazione, distribuzione ed efficacia dei presidi sanitari) e quelle formative (la lotta all’analfabetismo, allora ancora molto diffuso, e l’efficienza del sistema formativo di ogni ordine e grado nella sua diffusione del territorio).
Scotellaro si occupa principalmente di analizzare le problematiche legate alla scuola e alle condizioni dello stato di salute degli abitanti della Basilicata. Nel corso dei tre anni vissuti a Portici egli porta avanti una intensa attività di ricerche e di inchieste sociologiche. Le sue relazioni vengono inserite nel Piano di Sviluppo coordinato da Manlio Rossi Doria.
Nello stesso tempo Scotellaro organizza in maniera sistematica le conoscenze acquisite nel tempo attraverso letture eterogenee e disordinate e questo gli consentì di migliorare la sua formazione letteraria e poetica grazie alla frequentazione a Napoli di un gruppo di giovani scrittori emergenti, perlopiù suoi coetanei, quali Michele Prisco, Domenico Rea e Mario Pomilio. In quel periodo, infine, non manca di raggiungere più volte a Roma Carlo Levi, che lo mette in contatto con Pier Paolo Pasolini, Alberto Moravia, Enzo Siciliano.

La scomparsa
La tragedia è in agguato e, inattesa, si consuma la sera del 15 dicembre 1953: rientrato da un giro nei paesi lucani per ragioni di studio, Scotellaro improvvisamente muore a causa di un infarto.
Nella sua Tricarico una folla numerosa e attonita ascolta le orazioni funebri dello stesso Rossi-Doria e di Carlo Levi, che presto confermeranno il loro affetto e la loro stima per il giovane amico scomparso con un concreto e significativo atto di amore, provvedendo alla a pubblicazione delle opere più importanti di Scotellaro, che erano rimaste tutte inedite per la prematura scomparsa dell’autore.
Nel 1954 viene pubblicato, con prefazione di Carlo Levi, il libro di poesie “È fatto giorno” che ottenne il “Premio Viareggio”. Nello stesso anno vede la luce “Contadini del Sud”, con prefazione di Manlio Rossi-Doria, opera incompiuta, commissionatagli dall’Editore Laterza, che prefigura un progetto ambizioso di analisi delle condizioni dei contadini meridionali delle regioni di Puglia, Campania, Calabria e Basilicata.
Il volume contiene significative testimonianze di vita di contadini meridionali, L’anno successivo, invece, è pubblicato, sempre per i tipi della storica casa editrice barese, il racconto autobiografico, rimasto incompiuto, L’uva puttanella, con la prefazione di Carlo Levi. Poco meno di venti anni dopo il medico-scrittore torinese firmerà anche la prefazione di “Uno si distrae al bivio”, una raccolta di racconti inediti giovanili, in cui si prefigurano i tratti essenziali, che si evidenzieranno nelle opere più importanti dello scrittore e poeta lucano.
Nel 1978, uscirà un altro libro di poesie, “Margherite e rosolacci”, a cura di Franco Vitelli.
Merita di essere ricordato il giudizio espresso da Carlo Levi ben ventesimo anniversario della morte del poeta: “A vent’anni dalla sua morte, Rocco Scotellaro rimane intatto, nella memoria e nell’amore di chi l’ha conosciuto; ed è una presenza sempre più viva e importante per i giovani italiani e stranieri che sono cresciuti, senza conoscerlo se non dai suoi scritti, dopo di lui”.
Non meno importante una testimonianza, resa da Carlo Levi sulle qualità di Scotellaro e riportata da Giovanni Russo: dopo avere letto i primi capitoli de “L’uva puttanella” Levi disse al giovane amico: “Questo tuo libro supera il mio Cristo”.
Grazie alle sue opere pubblicate postume Rocco Scotellaro ha lasciato la sua importante eredità di pensiero e di passione che, in vita, era stata bistrattata da uomini della sua stessa fede politica. Ma questo, si sa, è il destino dei Grandi.

Un piacevole ricordo che suscita sempre una forte emozione nella lettura di questa meravigliosa testimonianza. dell’amico Geppino. Affiorano in lui tanti segnali di continuita’ che sono una costante della sua formazione ed hanno contraddistinto la sua gioventu’ ,impreziosita di tanti valori etici che arricchiscono il suo bagaglio culturale