Dal Rapporto Svimez 2025 emerge l’immagine di un Mezzogiorno sospeso tra slancio e fragilità. Da un lato l’occupazione cresce come mai negli ultimi anni, spinta dagli investimenti pubblici e dalla poderosa macchina del PNRR. Dall’altro continua l’emorragia di giovani che, pur in presenza di più lavoro, scelgono di andare via. È il paradosso di un Sud che crea occupazione ma non riesce a trattenere le sue competenze migliori.
Tra il 2021 e il 2024 sono nati quasi mezzo milione di posti di lavoro nel Mezzogiorno. Ma nello stesso periodo 175 mila giovani hanno lasciato la propria terra. E la metà di loro è laureata. Una “trappola del capitale umano” che costa al Sud circa 8 miliardi l’anno e che racconta un divario profondo tra quantità e qualità delle opportunità offerte.
Il boom occupazionale, infatti, convive con condizioni spesso precarie: stipendi reali in calo—il Sud perde oltre il 10% del potere d’acquisto in quattro anni—e un milione e duecentomila lavoratori meridionali sotto la soglia della dignità. La povertà non risparmia neanche chi un impiego ce l’ha, e cresce un’emergenza sociale legata al diritto alla casa.
Il quadro economico, però, mostra anche segnali concreti di vitalità. Tra il 2021 e il 2024 il Pil del Mezzogiorno è cresciuto dell’8,5%, ben oltre il Centro-Nord. A trainare sono state le costruzioni, il terziario e perfino la manifattura, che nel Sud—contrariamente a quanto accaduto al Nord—ha registrato un +13,6%. Il PNRR ha avuto un ruolo cruciale, scongiurando il rischio di stagnazione per l’intero Paese.
Le previsioni Svimez annunciano un’Italia che continuerà a crescere poco ma in modo costante nei prossimi anni. E ancora una volta il Sud dovrebbe correre più del resto del Paese almeno fino al 2026, grazie ai cantieri PNRR in fase avanzata. Già oggi tre opere su quattro sono in esecuzione e i Comuni meridionali hanno raddoppiato la spesa per investimenti pubblici in appena tre anni.
Proprio sul fronte dei servizi, alcuni gap storici stanno finalmente accorciandosi. Asili nido e mense scolastiche mostrano un lento ma tangibile processo di convergenza tra Nord e Sud. È l’effetto di un lavoro amministrativo nuovo, più rapido, spesso supportato da modelli tecnici che hanno ridotto drasticamente i tempi di progettazione.
Ma mentre il PNRR lavora per ridurre le disuguaglianze, l’avanzare dell’autonomia differenziata rischia di seguire la direzione opposta. Una contraddizione che per la Svimez può indebolire gli stessi progressi appena conquistati, soprattutto nei servizi essenziali.
Tra le nuove priorità sociali figura anche il diritto alla casa: affitti in forte aumento, povertà più diffusa tra gli inquilini e un patrimonio immobiliare spesso sottoutilizzato nelle città del Sud. Oltre 650 mila famiglie attendono un alloggio di edilizia popolare; nel Mezzogiorno, l’offerta resta ancora largamente insufficiente.
A pesare sullo sviluppo c’è poi la questione delle infrastrutture. Non solo la disponibilità, ma soprattutto l’accessibilità: ospedali, ferrovie, reti energetiche. L’indice medio di accessibilità ospedaliera nel Sud è appena 68, contro il 132 del Nord. Anche dentro le regioni meridionali persistono differenze profonde tra grandi centri urbani e aree interne.
Eppure proprio l’energia potrebbe diventare il nuovo vantaggio competitivo del Mezzogiorno. La gran parte delle nuove installazioni rinnovabili previste dal PNIEC ricade al Sud. Qui arrivano oltre l’80% delle richieste di connessione alla rete. Se i processi autorizzativi verranno sbloccati, gli investimenti potrebbero generare decine di migliaia di posti di lavoro e trasformare il costo dell’energia in un fattore strategico per nuove filiere produttive.
Il Sud, inoltre, ospita poli industriali in cui le grandi imprese rappresentano un motore significativo, soprattutto nei settori tecnologicamente avanzati. È da qui che può partire un vero salto di qualità: dall’attrazione di investimenti alla crescita delle filiere, fino all’integrazione nelle catene del valore europee. In questo quadro si colloca la ZES Unica, che sta già accelerando gli investimenti con tempi autorizzativi dimezzati e migliaia di nuovi progetti.
Resta però un nodo cruciale: la partecipazione femminile al mercato del lavoro. Le donne studiano di più, si laureano prima, ma lavorano meno e guadagnano meno. Nel Mezzogiorno, il tasso di occupazione delle madri con tre o più figli si ferma al 30%. È una ferita aperta che attraversa società, economia e demografia.
Il Rapporto Svimez, in fondo, lancia un messaggio chiaro: il Mezzogiorno ha dimostrato di poter essere protagonista della transizione industriale ed energetica del Paese. Ma per rendere il “diritto a restare” un’opzione reale e non una speranza, serve continuità politica, investimenti stabili e un’idea di sviluppo che metta al centro conoscenza, innovazione e coesione sociale.


