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Quel che resta della festa della donna

di Angela D’Alto

Ne scrivo perché mi sta a cuore. Perché sono donna, e nello specifico una donna che fa politica, ma che non ha mai usato il femminismo come arma da sfoderare solo quando fa comodo.

Angela D’Alto

E però, nelle centinaia di migliaia di auguri fatti alle donne l’8 marzo, ho letto cose che fanno rabbrividire, e che sono il segno di una mentalità (che appartiene più spesso agli uomini, ma che alcune donne accettano non so quanto consapevolmente) che va combattuta.

In molti di questi messaggi, o addirittura articoli, si esalta una figura di donna ‘moglie e madre’, utilizzando ancora espressioni come ‘colonne portanti’, ‘angelo della casa’, che sarebbe meglio lasciare rispettivamente al manuale sulle murature o alla festa di San Michele Arcangelo.

E anche quando alle donne si riconosce la dignità di lavoratrici, all’interno di una qualsiasi comunità (azienda, ente, impresa), si esaltano caratteristiche che vengono ritenute, non si capisce su quali basi, ‘prerogative femminili’. E dunque la donna deve essere ‘umile, discreta, riservata’. Deve rifuggire riflettori, visibilità, fama, successo. Perché queste cose vanno lasciate agli uomini, diciamoci la verità.

Devono essere ‘non appariscenti’, e portare grazia, saggezza e moderazione’ tipicamente femminili. Secondo loro, ovviamente. Magari saltellando su un tacco (non troppo alto o fa discoteca), offrendo sorrisi rassicuranti e biscotti appena sfornati.

E quindi anche se lavori, anche se ti prodighi, anche se hai successo, devi avere sempre un profilo basso. Non alzare la voce. Non metterti in mostra. E preferibilmente, sempre un passo dietro all’uomo. Se possibile, anche due.

Intenta a portare caffè, a fare fotocopie, a dispensare consigli materni, a fare da ‘valletta’ al maschio alfa che comanda. E se ti tocca di ‘comandare’, lo devi fare in silenzio, sottovoce, piano piano, in modo dimesso. Perché altrimenti sei una ‘che si mette in mostra ‘.

E sì, perché le donne devono essere “dolcemente complicate e sempre più emozionate, e pronte a dire ancora un altro sì”.

Creature quasi mitologiche, fate, angeli del focolare, bellezze acqua e sapone, belle ma non troppo, ben vestite ma non troppo, con la gonna ma non troppo corta.

E se hanno una malattia, devono essere delle ‘guerriere’ da sbattere in prima pagina come esempio, in modo tale che chiunque altra viva la propria malattia con momenti di debolezza, con sconforto, senza ‘essere un duro’, si senta inadeguata persino a essere malata.

E dunque, cari dispensatori di auguri, risparmiate fiato e inchiostro (o giga) e lasciateci vivere come vogliamo.

Non aspettiamo da voi il patentino di ‘donna con la D maiuscola’. Possiamo essere madri o no, accompagnate o single, acqua e sapone o truccate, ambiziose, schive, determinate, fragili.

Possiamo essere tutto, esattamente come un uomo, senza doverci giustificare. Vogliamo solo essere libere dai vostri stereotipi, e scegliere il nostro posto in questo mondo e non nel regno fatato delle principesse.

Perciò, teneteveli, gli auguri ‘differenziati’. O tutte o nessuna.

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