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Il senso di un dono – di Vincenzo Mattina

di Vincenzo Mattina

Quando a fine agosto del 2024 mi trovai al cospetto dell’opera di Antonello Paladino denominata HYPNOS (nella mitologia greca è il dio del sonno), la memoria riesumò lo scritto di Michel Serres Non è un mondo per vecchi. Perché i ragazzi rivoluzionano il sapere (Bollati Boringhieri, Torino 2013).

Immaginando di osservare i comportamenti della sua nipotina, Pollicina, il filosofo scrive: 

“Nella Leggenda aurea Jacopo da Varagine racconta che, nel secolo delle persecuzioni dell’imperatore Domiziano, avvenne a Lutetia (Parigi) un miracolo: l’esercito romano arrestò Dionigi, eletto vescovo dai primi cristiani di Parigi. Incarcerato, poi torturato nell’isola della Cité, fu condannato a essere decapitato sulla sommità di una collina, che si chiamerà Montmartre.

La soldataglia sfaticata rinuncia a salire fino in cima ed esegue la condanna a metà strada. La testa del vescovo rotola a terra. Orrore!

Decapitato, Dionigi si rialza, raccoglie la testa e, tenendola in mano, continua a salire la china. Miracolo! 

I legionari fuggono terrorizzati. Jacopo da Varagine aggiunge che Dionigi fece una sosta per lavare la testa a una sorgente e proseguì il cammino fino all’attuale chiesa di Saint-Denis. Ed eccolo canonizzato”.

Pollicina (l’immaginaria giovanissima nipotina di M. Serres) accende il computer. Se anche non si ricorda di questa leggenda, ha comunque davanti e tra le mani la sua stessa testa: ben piena per l’enorme riserva di informazioni, ma anche ben fatta, perché i motori di ricerca fanno a gara ad attivarvi testi e immagini, e, meglio ancora, dieci software possono trattarvi innumerevoli dati più velocemente di quanto possa fare lei.

Lei tiene lì, fuori di sé, la sua facoltà cognitiva un tempo interna, come san Dionigi tenne la testa lontana dal collo. Ce la immaginiamo Pollicina decollata? Miracolo?

Di recente, siamo tutti diventati san Dionigi e come Pollicina: la testa intelligente fuoriesce dalla testa ossuta e neutraleQuesta separazione è la cifra della quotidianità di un numero in costante crescita di persone di tutte le età, dislocate a tutte le latitudini. I più coinvolti sono i giovani, fin dall’età infantile.

Per approfondire la materia ho letto, nel 2016, il saggio Demenza digitale del prof. Manfred Spitzer, direttore della clinica psichiatrica e del Centro per le neuroscienze e l’apprendimento dell’Università di Ulm(Germania), città natale di Albert Einestein. 

Con ampia documentazione scientifica Spitzer passa in rassegna i pericoli dell’eccessivo utilizzo di apparati elettronici di consumo. Prende in esame la correlazione tra il loro uso sempre più intensivo con le diverse parti del cervello umano e ne rileva l’indebolimento, sulla base degli esiti di anamnesi e diagnostica strumentale, in dipendenza della sostituzione sistemica della lettura, del calcolo scritto e/o a memoria, della memorizzazione di un verso, della conversazione, ecc. con il ricorso alle informazioni acquisibili velocemente con la semplice pressione dei tasti o il semplice leggero tocco di un telefonino, di un tablet, di un computer. Ne soffrono finanche il bagaglio individuale di parole e le modalità di comporle in frasi rispettose della lingua in cui ci si esprime.

Spitzer ha portato avanti le sue riflessioni e ha pubblicato un altro lavoro meritevole di grande attenzione dal titolo Solitudine digitale, che è ancora più conturbante del primo, perché documenta come l’uso distorto del digitale, in particolare del suo vettore principe, il cellulare, stia attentando alla comunicazione diretta tra gli individui, chiudendo sempre più ciascuno in se stesso a scapito della partecipazione collettiva, a favore talvolta dell’aggressività fisica, talaltra, all’opposto, dell’isolamento sociale.

In quel volto in sonno del maestro Paladino e in quel globo terrestre in parte dentro e in parte fuoriuscito dalla testa ossuta e neutrale ho visto rappresentate la narrazione di Michel Serres e le analisi scientifiche di Manfred Spitzer e spontaneamente ho avvertito il dovere di proporlo alla vista delle allieve, degli allievi e dei loro genitori, nonché delle e degli insegnanti, come stimolo all’apprendimento, alla riflessione e al rifiuto della solitudine, che oggi più di ieri è addebitabile alla debolezza del sapere, all’indifferenza sociale, all’impoverimento dello spirito comunitario.

Per combattere quest’ultimo male antico (definito da Edward Banfield, nel 1958, familismo amorale) mi sono cimentato nel corso degli anni in vari tentativi: la costituzione della prima cooperativa agricola per la macellazione, il primo programma Leader nell’allora Comunità europea, i progetti di 2 nuove imprese cooperative approvati in forza della legge 44/86 sull’imprenditoria giovanile, da ultimo il circolo La Comunità. Purtroppo, nessuna di queste iniziative ha lasciato il segno; di sicuro per un mio limite culturale:l’eccesso di fiducia. 
Non demordo e questa volta mi sono limitato a fornire un riferimento, un incoraggiamento; niente di più! lasciando alle giovanissime e ai giovanissimi, alle loro famiglie, ai docenti l’onere di farne tesoro al meglio, …se vogliono.

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