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Il “tremuoto” del 16 dicembre 1857: 11.000 morti tra Val d’Agri e Vallo di Diano (Seconda parte)

Di Giuseppe Geppino D’Amico

Anche nel Vallo di Diano la terra tremò di nuovo nei mesi successivi: il 23 marzo quattro scosse si registrarono a Sala ma, per fortuna, non crearono danni ma furono tanto forti da essere avvertite anche a Potenza. Altre scosse si ebbero tra il 18 ed il 19 aprile e molta gente decise di trascorre la notte in strada.  Il 13 febbraio del 1858 il Giornale del Regno delle Due Sicilie comunica che la sottoscrizione ha raggiunto i 78.398 ducati. Ancora più esaurienti le relazioni degli Intendenti. Va segnalato il rapporto presentato in data 6 maggio 1858 al Consiglio Provinciale del Principato Citra dall’Intendente Luigi de’ Marchesi Ajossa. Dal rapporto emerge che “ben 479 persone furono disseppellite vive, vittime sottratte in diversi comuni alla crudel morte che le minacciava”. Per quanto riguarda le opere pubbliche Ajossa comunica che si è spesa la cifra non indifferente di ducati 32.668,79 e che tra le opere eseguite vanno ricordate numerose nuove strade in provincia e tra queste “l’iniziamento dei lavori di costruzione della strada rotabile da Padula a quella Certosa”; la ricostruzione di molte Chiese e un’opera importantissima per il futuro della città capoluogo: la realizzazione del porto di Salerno. Intanto, alla data del 4 agosto 1858 erano stati raccolti 172.674,68 ducati alla cui utilizzazione provvide personalmente Ferdinando II così come riportato dal Giornale del regno delle Due Sicilie nell’edizione del 30 settembre 1858: Il terremoto del 1857 suscitò forte emozione anche all’estero e non mancarono aiuti economici sia ad opera di singoli cittadini (anche dalle Americhe), sia ad opera di giornali.

Tra i primi a dare vita ad una sottoscrizione fu il direttore del giornale francese l’Union il quale ai primi di marzo consegnava al Ministro dell’Interno Lodovico Bianchini, una prima raccolta di 4.000 franchi. Ma dall’estero il contributo più importante, anche in chiave futuristica, fu quello offerto da uno studioso inglese, Robert Mallet, il quale venne in Italia per studiare il fenomeno terremoto grazie ad un contributo di 150 sterline concessogli alla Royal Society di Londra. Un grosso contributo alla spedizione scientifica del Mallet fu offerto da Alfonso Bernoud, un fotografo francese che si era stabilito a Napoli già da qualche tempo e che era molto noto anche a corte. Al ritorno in patria, dopo una attenta elaborazione dei dati raccolti il Mallet darà alle stampe un ponderoso studio che ancora oggi è un punto di riferimento per gli studiosi dei fenomeni sismici. Pubblicato nel 1862 a Londra da Chapman and Hall, il lavoro del Mallet è uscito in Italia per iniziativa di E. Guidoboni e Graziano Ferrari. Recentemente l’opera è stata ristampata in una edizione rivista ed ampliata per iniziativa della stessa SGA a cui va il ringraziamento per averci concesso di utilizzare le foto a corredo di questo articolo.

Ma come vissero le popolazioni interessate quei drammatici momenti?

Non è affatto un mistero: nei momenti difficili gli Italiani, e in particolare i Meridionali, come per incanto ritrovano la fede, riscoprono la preghiera e si rivolgono con maggiore intensità ai santi, ai quali chiedono l’intercessione per ottenere il miracolo non solo quando si tratta di guarire dai mali fisici da cui, evidentemente, sono afflitti ma anche per risolvere situazioni di pericolo in presenza di carestie, siccità e terremoti. In questi ultimi casi la preghiera da singola diventa globale nel senso che vede la partecipazione di tutta la comunità. La storia è piena di simili esempi ma, per dimostrare l’attendibilità di questa affermazione, basta ricordare quello che accadde a Polla, il paese del Vallo di Diano più colpito dal terribile terremoto del 16 dicembre del 1857. A rileggerle oggi, le cifre relative al comune di Polla sembrano un bollettino di guerra: “867 morti, 250 feriti, 1.300 case crollate, 355 crollanti, 18 Chiese e cappelle crollate, una crollante”. Una strage se rapportata alla situazione degli altri paesi del Vallo di Diano e, in particolare, a Diano  e a Sant’Arsenio, dove la mancanza di morti fu attribuita rispettivamente alla protezione di San Cono, patrono e protettore del paese, e a Sant’Arsenio Abate, patrono del paese che porta il suo nome. Scrive, in proposito Luigi Giliberti : “Qui si ebbero a deplorare solo tre morti sotto una casa, che fu una delle poche a cadere, nella piazza ora detta del Plebiscito, ove cadde anche quella comunale, sede del municipio, onde l’amministrazione si trasferì provvisoriamente in una casa all’angolo di via Rostella…Nel limitrofo comune di Polla, invece, il danno fu enorme: circa un migliaio di persone vi trovarono la morte. La grande differenza degli effetti catastrofici del terremoto tra questi due comuni così vicini (Polla e Sant’Arseno), fece sì che si attribuisse al santo Arsenio eremita la preservazione del paese, per cui il santo abate venne in ispecial modo venerato. Del medesimo avviso furono i pollesi, onde parecchi preti di Polla, con la popolazione piangente e scalza, vennero a Sant’Arsenio e vollero con loro la statua del santo, che fu portata processionalmente verso Polla, e lungo il cammino fatta segno agli entusiasmi della fede più delirante. La statua fu coverta di gioie e di altri doni. Nello stesso tempo poi che pollesi e santarsenesi procedevano con la statua del santo verso Polla, i rimanenti preti pollesi e la popolazione restata in paese, organizzarono un’altra processione con la statua del loro protettore S. Antonio. Strano caso: sul ponte di Polla, all’incontro delle due statue, si ebbe un nuovo scuotimento del terreno, con panico enorme, onde i pollesi cedettero vedere in questa nuova iattura lo sdegno del loro patrono all’ingresso del santo forestiero, sicché ciascuno scappò verso il proprio paese…”.

Un altro paese che fu risparmiato dal terremoto del 1857 fu Diano e gli abitanti attribuirono la mancanza di vittime alla protezione di San Cono. L’avvenimento ha ispirato scrittori, poeti e pittori; una testimonianza importante è quella del canonico e teologo teggianese Stefano Macchiaroli che assistette personalmente al prodigio della manna. Alcuni decenni dopo i Teggianesi dedicarono al santo l’obelisco che ancora campeggia nella piazza principale del paese e che i teggianesi vollero innalzare in segno di ringraziamento verso il Santo Concittadino e Protettore. La mattina del 17 dicembre 1857 tutti gli abitanti, che avevano passato la notte all’aperto, in piazza Portello parteciparono numerosissimi alla messa di ringraziamento celebrata all’aperto. Ma l’episodio che più di ogni altro colpì i la popolazione si verificò nella serata del 21 dicembre durante una delle tante preghiere in onore di San Cono: dalla scarpa del piede sinistro sgorgò una stilla di manna che si riprodusse tre volte nonostante il tentativo del parroco decano D. Michele Marmo di asciugarla con un pannolino: per tutti questo evento era la prova che il Santo “con i suoi santi piedi, quasi ha frenato la terra dalle sue replicate scosse”. Della cronaca di questo straordinario evento fu redatto un apposito verbale da parte dei notai Paolo Matera e Cono Carrano. Nel verbale si legge anche che (nella città di Diano) mercè la intromissione del Santo Protettore di questa città, San Cono, “non è a deplorarsi alcuna vittima”.

Le foto sono tratte dal “Viaggio nelle aree del terremoto del 16 dicembre 1857 “- a cura di Graziano Ferrari. I volumi furono stampati grazie al contributo dell’Assessorato all’Ambiente della Provincia di Salerno, allora retto da Angelo Paladino.

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