Pubblichiamo la prima parte della Lettera Pastorale di Sua Eccellenza Mons. Antonio De Luca, Vescovo della Diocesi di Teggiano Policastro
Carissime sorelle e carissimi fratelli,
«il Dio della speranza vi riempia di ogni gioia e di ogni pace nella fede, affinché abbondiate nella speranza, per la potenza dello Spirito Santo» (Rm 15,13). Questa lettera pastorale è proiettata al prossimo Giubileo ordinario del 2025, che inizierà il 24 dicembre 2024 con l’apertura della Porta Santa in San Pietro e si chiuderà il 6 gennaio dell’anno 2026 (mentre nelle Chiese particolari terminerà il 28 dicembre 2025). L’ Anno Santo è un momento di Grazia per ciascuna persona e le comunità ecclesiali, intente a ripercorrere le strade dell’Amore redentivo di Dio nel pellegrinaggio della nostra vita. Questa grande occasione di penitenza, di riconciliazione, di gioia incontra anche varie altre ricorrenze, come la “fase profetica” del Cammino
sinodale delle Chiese in Italia (2024-2025). La Bolla di indizione dell’Anno giubilare è stata anticipata da una riflessione di Papa Francesco, consegnata nel 2022 a monsignor Rino Fisichella, in qualità allora di Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione. Successivamente il Pontefice con la bolla di indizione “Spes non confundit” delinea l’orizzonte di senso del nuovo Anno Santo, ormai alle porte. Afferma il Papa: “Il prossimo Giubileo, dunque, sarà un Anno Santo caratterizzato dalla speranza che non tramonta, quella in Dio. Ci aiuti pure a ritrovare la fiducia necessaria, nella
Chiesa come nella società, nelle relazioni interpersonali, nei rapporti internazionali, nella promozione della dignità di ogni persona e nel rispetto del creato. La testimonianza credente possa essere nel mondo lievito di genuina speranza, annuncio di cieli nuovi e terra nuova (cfr. 2Pt 3,13), dove abitare nella giustizia e nella concordia tra i popoli, protesi verso il compimento della promessa del Signore”.

Tuttavia, quando Francesco scrive a monsignor Fisichella rivolge la sua attenzione in modo speciale alla speranza martirizzata dalla tragedia della pandemia e guarda al Giubileo del 2025 come ad un’attesa fervente
di cambiamento, quella che egli stesso chiama rinnovata rinascita. Non sfugge a nessuno il dramma che il mondo ha vissuto in quegli anni, ancora a noi molto vicini. L’umanità intera, infatti, piombò in una situazione irreale, o almeno così sarebbe sembrato, fino a quando non si comprese che un minuscolo, ma insidioso e pericoloso virus aveva compiuto un’incursione
prepotente tra gli esseri umani. Costretti al confinamento sociale, abbiamo vissuto giorni, settimane, mesi ansimando per la paura dell’immediato futuro. Smarrimento e indecisione avrebbero potuto prendere il sopravvento, causando di conseguenza la perdita di una delle più autentiche e connaturali virtù umane, qual è la speranza. Infatti, prima che virtù cristiana, la speranza è un bene spirituale condiviso da tutte le persone capaci di aprirsi alla novità degli eventi, grazie alla fattiva collaborazione di ciascuno. Perfino pensatori laici e lontani dalla fede cristiana hanno richiamato l’attenzione sulla necessità nutrita dall’essere umano di aprirsi all’avvenire con uno spirito di positivo cambiamento. La speranza, secondo un pensatore laico dello spessore di Ernst Bloch, è il “motore”, ovvero principio se non la linfa di ogni cambiamento umano, come ha ricordato il cardinale João Braz de Aviz, prefetto del Dicastero per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, in un suo recente intervento. Per i cristiani la speranza è una virtù teologale e non esiste senza la fede e l’amore. Le tre virtù ispirano e sorreggono la vita, la spiritualità, l’agire concreto di ogni battezzato. Se i cristiani sono testimoni di speranza significa che operano in modo rilevante nella società per manifestare nell’unità della Chiesa la loro appartenenza a Cristo e al Vangelo dell’Amore. I cristiani sono testimonianza vivente di speranza nell’amore trinitario per annunciare la fede. Sperare è costruzione di significato da parte dei cristiani, grazie a esperienze di rapporti concreti e significativi in tutte le direzioni. Quindi, nutrire speranza significa stare in relazione prima di tutto con Dio, perché ciascuna persona possa riconoscersi creatura di fronte al Creatore; è relazione con l’altra persona perché, generati dallo stesso Creatore, siamo accomunati dallo stesso Amore e dall’unica natura umana; relazione con il creato, perché l’essere umano è intimante legato ai contesti
vitali, come il libro della Genesi testimonia nei racconti delle origini.
1 – Il Giubileo dell’anno 2025 nel segno della relazione e della riconciliazione
Papa Francesco pensa precisamente alla ritessitura dei rapporti umani, a quelli con Dio e con il creato, quando scrive la citata lettera a monsignor Fisichella, in vista della celebrazione dell’Anno Santo del Signore del 2025. Infatti, il Pontefice concentra prima di tutto l’attenzione sull’importanza e sul significato dell’evento giubilare, fondato sul modello biblico. L’istituzione giubilare nella cristianità si fa risalire alla bolla Antiquorum habet fida relatio di Bonifacio VIII, del 22 febbraio 1300, con una ricorrenza allora centenaria. Papa Benedetto Caetani non attribuisce un appellativo specifico all’evento di grazia collegato all’elargizione della “prima indulgenza giubilare” dunque «non denomina in alcun modo l’anno, se non
indirettamente come anno centenario (annus centesimus)». La prima grande occasione di indulgenza, proposta
dalla Chiesa nel cuore del Medioevo, secondo la cadenza centenaria, a ben vedere, non aveva una diretta
correlazione con le istanze giubilari veterotestamentario, poiché il Giubileo è prescritto con ritmo cinquantennale.
Infatti, nel 1350 apparve l’espressione annus iubilaeus e il diretto riferimento alla tradizione biblica fu esplicito. Pur con una modulazione dissimile rispetto a quella biblica, nella Bolla di indizione del Giubileo del 1475 è fissata una cadenza venticinquennale (dopo la disposizione di ogni trentatré anni del ciclo giubilare come voluto da Urbano VI nel 1390).

Da allora ininterrottamente, il giubileo o anno santo, tranne per le criticità socio-politiche avverse della prima metà del XIX secolo, è una tradizione che dura costantemente ormai da secoli nella storia della Chiesa. Papa Francesco pensa a questa secolare istituzione collegata direttamente al pellegrinaggio, alla Porta Santa, al perdono dei peccati, ovvero indica il Giubileo come un «evento di grande rilevanza spirituale, ecclesiale e sociale». Ci sono alcuni punti di riferimento che il Pontefice ritiene di dover ricordare per la conservazione della memoria prossima dei cattolici soprattutto in riferimento alla preparazione, alla celebrazione e agli effetti degli “anni di grazia”. Anche la nostra memoria corre al grande Giubileo dell’Anno 2000. San Giovanni Paolo II «lo aveva tanto atteso e desiderato, nella speranza che tutti i cristiani, superate le storiche divisioni, potessero celebrare insieme i duemila anni della nascita di Gesù Cristo il Salvatore dell’umanità». Lo stesso Francesco, in occasione del cinquantesimo anniversario della chiusura del concilio ecumenico Vaticano II, ha indetto il Giubileo straordinario della Misericordia con la bolla Misericordiae Vultus dell’11 aprile 2015, nella quale il Papa sottolinea tra
l’altro che la misericordia nella Sacra Scrittura è la parola-chiave per indicare l’agire di Dio verso di noi. Egli non si limita
ad affermare il suo amore, ma lo rende visibile e tangibile. L’amore, d’altronde, non potrebbe mai essere una parola astratta. Per sua stessa natura è vita concreta: intenzioni, atteggiamenti, comportamenti che si verificano nell’agire quotidiano. La misericordia di Dio è la sua responsabilità per noi. Lui si sente responsabile, cioè, desidera il nostro bene e vuole vederci felici,
colmi di gioia e sereni. È sulla stessa lunghezza d’onda che si deve orientare l’amore misericordioso dei cristiani. Come ama il Padre così amano i figli. Come è misericordioso Lui, così siamo chiamati ad essere misericordiosi noi, gli uni verso gli altri. Se l’“architrave” che sorregge la Chiesa, come scrive il Papa, è la misericordia, ogni Anno giubilare apre la comunità ecclesiale a nuova esperienza dell’Amore di Dio e interroga la società sui grandi temi della giustizia e della verità, sull’equità e la solidarietà, sulla pace e sulla tutela della casa comune. Alla pratica della misericordia è chiamata la Chiesa, alla quale spetta una funzione di coerenza tanto esplicita e forte per la sua credibilità, affinché le istanze giubilari possano entrare anche nella società e fermentare le relazioni umane secondo uno stile sempre più fraterno. In altri termini, il prossimo Giubileo, che ci apprestiamo a vivere, richiama noi cristiani all’impegno per un mondo sempre più giusto, a collaborare per la pace, a essere testimoni di coerenza. Siamo chiamati a farci “porta”, ovvero facilitatori di contatto tra l’Amore di Dio e la sete umana di serenità e gioia. Nella relazione trinitaria possiamo riconoscerci amati e accolti. La sfida è lasciarci trasformare da quell’infinito Amore per renderci disponibili alla missione di speranza e di carità, consegnata a tutti i battezzati da Cristo
per la vita del mondo. Il Papa, già nella Lettera del 2022, ha suggerito un’immagine che plasticamente declina questi contenuti ora sinteticamente evocati. Egli ha proposto il motto pellegrini di speranza proprio per ridestare fiducia nel senso del rinnovamento o, meglio, una nuova rinascita. Quando Francesco scrive pensa in modo specifico ai momenti bui e tristi dell’improvvisa pandemia, che ha posto limitazioni a tutte le attività umane e perfino ai rapporti interpersonali. Dopo due anni di lunghe incertezze, il sole della speranza ricominciava a sorgere di nuovo sulle nostre esistenze, con i cuori nuovamente rivolti alla vita e alla speranza, perché pur se claudicanti, eravamo pronti ad uscire dal tunnel della disperazione e dell’incertezza. Solo due anni fa il mondo era ancora sconvolto e attonito. La morte era sotto gli occhi di tutti, soprattutto per la tragedia della solitudine. Le esistenze personali, quelle delle famiglie, delle nostre comunità, quelle delle istituzioni, le scuole, come il mondo della produzione e del lavoro, ogni settore umano e lavorativo era devastato dalla disperazione, quasi gettati nella morsa oscura di un labirinto senza uscita. Chi non ricorda quei momenti? Quanti propositi di allora abbiamo poi realmente conservato e realizzato nell’immediato futuro, concretizzato in questi due anni? Abbiamo fatto un reale bilancio di come la pandemia e il confinamento sociale con le altre relative criticità abbiano di fatto modificato la nostra esistenza, i nostri rapporti parentali e sociali, come sono cambiate le modalità relazionali delle nostre comunità cristiane? Nella Lettera del 2022 consegnata a monsignor Fisichella, Francesco esorta a trovare le modalità più adeguate per vivere il prossimo Giubileo con l’umore dell’homo viator, accompagnato e sorretto dalla linfa della speranza. I cristiani sono pellegrini di speranza, quella speranza “che non delude” (Rm 5,5), se sono coerenti alla concretezza della terra e si aprono alla
promessa fedele del Dio che è Amore. Questa tensione ci lega alla storia, alle dinamiche sociali, fa del messaggio cristiano una realtà incarnata nelle situazioni e apre contestualmente alla novità del rinnovamento spirituale alla luce della Parola di Dio. Le dinamiche sociali, le ingiustizie da rimuovere,il sostegno e la promozione della famiglia e del lavoro,
la ritessitura dei rapporti educativi, l’attenzione per i poveri, la tutela e la promozione del creato, lo sviluppo di un’economia solidale e tanti altri aspetti della nostra vita chiedono un contributo fattivo da parte delle comunità ecclesiali. Su questi aspetti la nostra realtà diocesana di Teggiano-Policastro è direttamente interrogata. Secondo le linee tratteggiate dal Papa, la nostra Chiesa diocesana con tutte le comunità ecclesiali sparse sulla terra, sperimenta una dinamica di rinnovamento
costante e di giovinezza evangelica, perché è il Vangelo del perdono e dell’amore fraterno a chiederci di vivere con il mondo e stare dentro la storia, così da aiutare a lenire le sofferenze e le ferite, ad aprire i cuori all’amore e alla speranza, a schiudere gli
occhi sulla realtà e sulle situazioni concrete. Infatti, scrive il Papa, la dimensione spirituale del Giubileo, che invita alla conversione, si coniughi con questi aspetti fondamentali del vivere sociale, per costituire un’unità coerente. Sentendoci tutti pellegrini sulla terra in cui il Signore ci ha posto perché la coltiviamo e la custodiamo (cfr. Gen 2,15), non trascuriamo, lungo il cammino, di contemplare la bellezza del creato e di prenderci cura della nostra casa comune. Auspico che il prossimo Anno giubilare sia celebrato e vissuto anche con questa intenzione. In effetti, un numero sempre crescente di persone, tra cui molti giovani e giovanissimi, riconosce che la cura per il creato è espressione essenziale della fede in Dio e dell’obbedienza alla sua volontà. Questa spiritualità, lungi dall’essere confusa con estraneità alla concretezza, è la vera logica giubilare, del significato dell’indulgenza, del perdono dei peccati, dell’incontro con la misericordia di Dio, finanche con i segni visibili che incoraggiano la comprensione umana del grande dono dell’Amore trinitario. Siamo invitati a stare saldamente radicati nella comunione
ecclesiale con la frequentazione sacramentale, la preghiera personale e comunitaria, le opere di carità, sempre e costantemente alimentati dalla Parola di Dio, vera luce dell’evento giubilare. L’Anno Santo è esperienza della grazia divina, che vuole raggiungere ogni donna e ogni uomo.