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Ferrovia in Campania, dalla storia di ieri ai rimpianti di oggi

Di Geppino Giuseppe D’Amico

In precedenti incontri ci siamo occupati delle vicende della Ferrovia Sicignano-Lagonegro. Toniamo ad occuparcene a seguito di una notizia di carattere giudiziario che ci riporta alla storia della ferrovia nella nostra Regione.

I Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Napoli hanno eseguito un decreto di sequestro preventivo disposto dal Giudice per le indagini preliminari su richiesta della Procura relativo alla storica stazione Bayard (dal nome dell‘ingegnere Armando Giuseppe Bayard de la Vingtrie) dell’antica tratta Napoli-Portici. Si tratta del primo tratto di ferrovia in Italia, inaugurato il 3 ottobre del 1839 su un percorso di 7,6 chilometri. Va ricordato, inoltre, che la ferrovia Napoli-Portici fu realizzata a proprie spese dall’ingegnere francese Armand Bayard al quale fu garantita una concessione di lunga durata. Bayard e la sua società ottennero dal re soltanto la dichiarazione di opera di pubblica utilità per facilitare l’esproprio dei terreni. Di alto lignaggio i primi passeggeri: Ferdinando II di Borbone con la famiglia, i dignitari di corte e un bel numero di militari di scorta. La stazione di Napoli Bayard restò attiva fino al 1866, quando, in seguito al collegamento con la stazione di Napoli Centrale fu declassata a impianto di servizio.

Negli ultimi anni la storica stazione era stata trasformata in un parcheggio abusivo. I reati contestati vanno dalla “invasione di terreni ed edifici all’omissione di lavori in edifici che minacciano rovina”. Contestato dagli inquirenti anche il reato di “danneggiamento al patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale, in relazione allo stato di degrado e protratto abbandono della stazione di interesse storico-architettonico e ai rischi di crollo a causa dell’omissione di interventi di manutenzione”.

Indubbiamente, la stazione Bayard è una pagina importante della storia dell’Italia e del Mezzogiorno in particolare che merita di essere conosciuta. Fu il primo tratto ferroviario aperto in Italia, un’Italia non ancora unita e divisa in tanti staterelli.

Indubbiamente la Napoli-Portici rappresenta un primato ma è un primato un po’ fine a se stesso perché nel regno di Napoli, territorialmente il più vasto d’Italia con regioni come Campania, Molise, Puglia, Calabria, Basilicata e Sicilia, la ferrovia camminò a rilento. La storia ci dice che all’indomani dell’unità d’Italia nel regno delle Due Sicilie c’erano soltanto 128 Km. di linea ferrata: Napoli-Vietri sul Mare; Napoli-Caserta e Portici-Castellammare). La linea era parte di un progetto più vasto che però proseguì a rilento specialmente se si considera la situazione nelle altre regioni al momento dell’unità d’Italia. Nel 1861 nel Piemonte vi erano già 850 Km. di ferrovie; nel Lombardo-Veneto 607 Km.; nel Granducato di Toscana 323 Km.; nello Stato Pontificio 132 Km.; nel Ducato di Parma 99 Km. e nel Ducato di Modena 50 Km. Sempre per quanto riguarda lo Stato Pontificio, pur avendo ottimi rapporti con il papato, il regno delle Due Sicilie era completamente isolato dallo Stato Pontificio in quanto le due ferrovie non erano collegate tra loro.

Nella seconda metà dell’800, il progetto della ferrovia prevedeva l’attraversamento del Vallo di Diano fino a Lagonegro da dove avrebbe dovuto raggiungere Castrocucco per poi proseguire verso sud lungo la Tirrenica inferiore.  Anche allora non mancarono le polemiche per cui il tracciato fu spostato lungo la costa già a partire da Battipaglia mentre la linea interna si fermò a Lagonegro. Anche allora ci fu un’aspra lotta politica e il progetto fu cambiato per cui la ferrovia attraversò la costa già a partire da Battipaglia. Fu finanziata anche la linea interna che, partendo da Sicignano, dopo avere attraversato il Vallo di Diano proseguì fino a Lagonegro senza proseguire per Castrocucco come pure era stato previsto.

Cosa è successo nel 1987 è cosa ben nota: proprio in occasione del centenario, la tratta fu chiusa per consentire i lavori di elettrificazione della Battipaglia-Potenza-Taranto; di anni ne sono trascorsi 36 ma la ferrovia non è più stata riaperta nonostante sollecitazioni e proteste di politici, amministratori locali e associazioni varie.

Per dovere di cronaca riportiamo un breve ampio resoconto (pubblicato sul periodico La Voce del Meridione, 3 aprile del 1985) della interrogazione che tre parlamentari del PCI, Francesco Auleta, Flora Calvanese e Rocco Curcio, avevano rivolto al ministro dei Trasporti Claudio Signorile, per conoscere i motivi del ritardo dei lavori previsti dal piano poliennale di sviluppo e quando sarebbero stati realizzati i lavori per il prolungamento da Lagonegro al Tirreno.

Claudio Signorile

Nella risposta Signorile si legge che i lavori presentavano uno stato di avanzamento del 50 per cento fino a Sala Consilina. Particolarmente interessante è la parte finale della risposta del ministro che spiega cosa prevedeva ilredigendo piano dei trasporti per il nostro territorio: “Nella prima fase, prioritaria l’elettrificazione e le rettifiche con predisposizione della sede a doppio binario sulla linea Sicignano-Lagonegro per un importo di 230 miliardi a livello dei prezzi 1982, nonché la realizzazione del nuovo collegamento di 250 miliardi, sempre a livello dei prezzi 1982.  Nella seconda fase, non prioritaria, la realizzazione a Sicignano del collegamento diretto anche verso Potenza (senza inversione di marcia”.

A leggere la risposta del ministro si dava addirittura precedenza alla Sicignano-Lagonegro rispetto alla linea per Potenza. Invece, l’esito è stato ben diverso: nel 1987 Signorile lascia il ministero e in quello stesso anno la Sicignano-Lagonegro viene chiusa, ufficialmente per consentire i lavori di elettrificazione della Battipaglia-Sicignano-Potenza-Taranto che verrà riaperta sette anni dopo, mentre la Sicignano-Lagonegro è rimasta abbandonata a se stessa. Resta lo squallore di quel che resta dei binari ormai travolti dai rovi, e quindi non più utilizzabili, e la desolazione delle stazioni abbandonate e spesso vandalizzate.

Concludiamo con una notizia emblematica della storia del Vallo di Diano legata alla ferrovia: risale al 1902 quando il sindaco di Polla, Isacco Del Bagno, attese alla stazione l’arrivo del treno che avrebbe portato a Lagonegro e, quindi, a Moliterno il primo ministro Giuseppe Zanardelli. La versione ufficiale del viaggio: verificare di persona le tragiche condizioni dei contadini della Basilicata. In realtà era venuto per ingraziarsi i deputati meridionali in vista della discussione in Parlamento della legge sul divorzio.

A Moliterno, durante il brindisi di commiato, il sindaco Vincenzo Valinoto Latorraca salutò l’illustre ospite con queste parole: “Signor primo Ministro, la saluto a nome degli 8.000 abitanti di questo paese, 3.000 dei quali sono all’estero, gli altri 5.000 si accingono a seguirli”. Parole non soltanto profetiche ma, anche alla luce dello spopolamento dei nostri territori, di straordinaria attualità.

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