
Metti una sera un testo teatrale straordinario, una compagnia di attori esperti e dotati di grande passione ed entusiasmo, bravi musicisti, una scenografia definita “maestosa” (lunga 16 metri), un palazzetto dello sport gremito da un pubblico attento ed entusiasta (oltre 400 persone) e il successo è assicurato.

Si può sintetizzare così la rappresentazione di “Rusina ’a zengara”, commedia musicale in tre atti, scritta da Peppino Amabile nel 1991 e proposta ieri sera nel Palazzetto dello sport di Sant’Arsenio per iniziativa dell’Associazione Culturale “Luigi Pica” di Sant’Arsenio, con l’Alto Patrocinio del Comune di Sant’Arsenio e la collaborazione della Fondazione Monte Pruno, del Coro Polifonico “Amici della Musica”, dell’Associazione Culturale “Sant’Arsenio – Ieri, oggi e domani” e del locale Gruppo Folk. La direzione artistica è stata curata da Luigi Biscotti e Franco Antonazzo.
Ma chi era Peppino Amabile? Per ammissione della figlia, la prof.ssa Nicla Amabile, intervenuta sul palco al termine della serata, chi lo ha conosciuto meglio di altri è l’architetto Enrico Coiro: “Che ha collaborato a lungo con papà; le intuizioni di Enrico, la sua mano e la sua mente sono state preziose, così come maestosa è la scenografia che ha realizzato per questa rappresentazione”.
Per ricordare nel modo migliore Peppino Amabile, pubblichiamo la recensione di Enrico Coiro del 1999, scritta all’indomani della presentazione del libro “Tra realtà e fantasia”, nel quale sono inserite alcune commedie di Peppino Amabile, compresa “Rusina ’a zengara”.
Peppino Amabile nel ricordo di Enrico Coiro

Nato a Sant’Arsenio nel 1921, Peppino Amabile fin da giovane coltivò la passione per tutto ciò che poteva riguardare il dialetto, gli usi, i costumi e le tradizioni del suo paese, dedicando per lunghi decenni la sua cura amorevole ed attenta al gruppo folkloristico di Sant’Arsenio, in giro per l’Italia, per il quale ha scritto bozzetti, canzoni e finanche coreografato vari numeri.
Ha sempre avuto la passione per il teatro, al punto che nel 1974 un gruppo di giovani, desiderosi di cimentarsi con la recitazione dialettale, rispolverò e mise in scena questo bozzetto. E fu un successo entusiastico ed immediato.
Sensibile anche alle rappresentazioni teatrali, curò negli anni ’50 la messa in scena de “La Nemica” di Dario Niccodemi; ma la sua attenzione al dialetto, unita a quella del teatro, si concretizzò già in quegli anni con un piccolo atto unico «Quanno marzo vòle fa’», che, non andato in scena per vari motivi, fu riposto in un cassetto e temporaneamente dimenticato.

Ben presto, prima di dedicarsi alla straordinaria produzione in teatro vernacolare, la sua attenzione si riversò sulla ricerca di antichi stornelli, poesie e detti popolari, fino alla importantissima pubblicazione di «Proverbi e canti popolari santarsenesi» del 1982, pietra miliare per la salvaguardia del dialetto santarsenese, con prefazione del famoso linguista e lessicografo Tullio De Mauro. In questa agile raccolta, ricca di termini e modi di dire, Peppino Amabile non inserì però il glossario, che invece fu allegato in una successiva opera del 1991, “Tre commedie santarsenesi”, con prefazione dello scrittore e poeta Elio Pecora. Tale raccolta comprendeva, oltre al bozzetto già citato, l’atto unico “’A cammesòla” e la commedia in tre atti “’A fattura”. Tali opere erano già state rappresentate ancor prima della pubblicazione, sempre con grande consenso di pubblico, nel paese di origine e successivamente negli Stati Uniti, dove una nutrita rappresentanza di santarsenesi del New Jersey attendeva da tempo e con impazienza l’evento.
La successiva raccolta del 1999, intitolata “Tra realtà e fantasia”, resta ancor oggi l’opera più importante, comprendendo le sue commedie più famose: “Rusina ’a zéngara”, la più complessa del 1991, “’U Scarognato”, il capolavoro assoluto del 1992, oltre ad un precedente bozzetto in versi «Chi avìho fuoco campào» del 1983, un duetto in prosa “I iuorni passano e…” del 1998 e la poesia “Serrone” del 1986. Quasi un testamento spirituale, videro la luce nel 2000 un atto unico “’Nparaviso nne verìmo” e una poesia “’A Grazia”, di ambientazione surreale. Ma esistono ancora versi e bozzetti che non sono stati mai pubblicati, tra i quali una commedia in due atti “Suocere e nuore”, di fine anni ’80, che lo stesso Peppino, dopo la rappresentazione, non ritenne opportuno divulgare.

A dieci anni dalla sua scomparsa, avvenuta nel 2004, il Comune di Sant’Arsenio ha voluto intitolare il teatro civico alla sua memoria; l’Associazione Culturale “Luigi Pica”, in quell’occasione, ha voluto ricordare Peppino con un busto realizzato dallo scultore Francesco Scialpi ed ha curato un allestimento scenico in forma ridotta della commedia “Rusina ’a zéngara”, un musical progettato per essere eseguito con attori, cantanti, coro, musicisti e danzatori. È opportuno precisare che agli inizi degli anni ’90, in cui tale commedia fu ideata e successivamente pubblicata nel 1999, era ancora presente ed attivo il gruppo folkloristico di Sant’Arsenio, per il quale lo stesso Peppino Amabile si era speso senza riserve. Conseguentemente l’autore, quasi per voler riassumere la sua lunga attività di autore ed animatore del gruppo, aveva concepito questa commedia, basata su una storia vera, ma con nomi e situazioni opportunamente modificati, come un compendio fantasioso in cui raccogliere ed inserire organicamente i numeri più eseguiti della tradizione santarsenese.
Il “Valzer delle lanterne”, anche conosciuto come “Serenata a Rusina”, il bozzetto cantato-sceneggiato della “lavannara”, gli stornelli notturni “a dispetto”, il “canto della vendetta”, il “lamento del mietitore” e la “tarantella finale”.

La pubblicazione del copione, inserito nella raccolta “Tra realtà e fantasia”, curata da Giuseppe D’Amico e pubblicata da Carlone Editore per l’Associazione Culturale “Luigi Pica”, si propone dunque come la necessaria e sostanziale base sulla quale innestare la scrittura delle partiture e la realizzazione scenica.
Protagonista della vicenda è Rusina, una giovane zingara realmente esistita, ma con diverso nome, che, per la sua bellezza, raccoglie lusinghe e serenate da molti ammiratori i quali, entrando in competizione, provocano equivoci a catena e drammatici risvolti.
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La scena si svolge per tre atti nella piazza del paese dove, a lato del balcone di Rusina, è presente la cantina di zia Maria, frequentata da due assidui burloni, Ciccilluzzo e Peppantonio, che, occupandosi di organizzare le varie serenate, conducono la storia degli avvenimenti, cantando e suonando, anche in maniera sgangherata, e pilotando furbescamente le pretese dello speziale Don Cosimino, del pastore Vastiano, dei contadini Nicola ed Arsenio e di tutti gli altri personaggi.
Personaggio singolare e discretamente presente è il nipotino della cantiniera Maria, che va e viene dalla scena portando notizie e servendo gli avventori, così come la domestica Peppinella, che affianca donna Mafalda, gelosissima moglie del Farmacista, fermamente intenzionata ad allontanare dal paese la zingara tentatrice.

In un musical che si rispetti non potevano mancare i brani musicali, dei quali Peppino Amabile ha scritto i testi e di alcuni anche le musiche. Fanno parte di “Rusina ’a zengara” i brani: ‘A lavannara, Serenata a Rusina, Doppia stornellata, Canto di vendetta, Ballo delle piròccole, Tarantella santarsenese. Per le musiche si è avvalso della collaborazione di Mario Amabile, Enrico Coiro e Mimmo Pica. Ad eseguire i brani erano gli storici accompagnatori del gruppo folkloristico santarsenese: Mario Amabile, Giuseppe Ippolito e Virgilio Ippolito. Merita particolare attenzione il brano “Serenata a Rusina”, testo di Peppino e Mario Amabile, musica di Mario Amabile. Numero cantato e coreografato, apprezzatissimo ed imitato in Italia ed all’estero, prevede la necessaria presenza della voce solista maschile nelle strofe e la risposta del coro nel ritornello; simultaneamente il gruppo dei danzatori esegue un valzer figurato lento con utilizzo della lanterna portata dagli uomini e di un colorato scialle a completamento del costume femminile. Si tratta di una serenata notturna; il numero iniziale di sei coppie, portato successivamente ad otto, ha richiesto l’aggiunta di altre due strofe alle tre originarie, per il complicarsi delle figure coreografiche. Una nota curiosa è costituita dall’utilizzo di un dialetto non propriamente santarsenese, ma vagamente meridionale, soprattutto nella seconda e quarta strofa, ancor più accentuato rispetto al brano precedente, dettato probabilmente dalla necessità di far comprendere il testo presso le varie località in cui si tenevano raduni di gruppi folkloristici e con la presenza di un pubblico di varia provenienza; tale testo così concepito è riportato integralmente nel copione.

ENRICO COIRO


