di MICHELE ALBANESE
Pres. Cons. Amm.
Banca Monte Pruno
Negli ultimi anni il sistema del credito sta attraversando una trasformazione profonda. Le normative europee, sempre più complesse e uniformi, impongono parametri stringenti e modelli automatizzati che tendono a sostituire la conoscenza diretta, la fiducia e l’esperienza umana con la logica dei numeri.
Eppure, la finanza – quella vera – nasce per sostenere l’economia, non per soffocarla. Un recente articolo, pubblicato su Italia Oggi da Matteo Rizzi, evidenzia con chiarezza un rischio concreto: quando il credito legale si ritira, cresce il pericolo dell’illegalità economica. I dati parlano chiaro: quando un’impresa perde accesso al credito bancario, aumenta del 5% la probabilità che venga intercettata da circuiti di finanza criminale.
In assenza di credito legale, subentra quello illecito, che offre liquidità immediata ma a condizioni imposte, trasformando l’impresa in un soggetto formalmente vivo ma sostanzialmente controllato. È una dinamica subdola, che si insinua silenziosamente e mina la libertà economica dei territori.
L’Europa, da qualche tempo, chiede alle Banche, di tutte le categorie, uniformità dimenticando le differenze. È ormai evidente che il principio di proporzionalità, pur previsto nelle normative europee, resta spesso solo una dichiarazione di principio. La realtà è che si chiede alle piccole banche locali, come le BCC, di applicare gli stessi schemi prudenziali, le stesse metriche e le stesse rigidità dei grandi gruppi sistemici.
Ma una banca che vive il territorio, che conosce i volti, i progetti e le fatiche delle imprese locali, non può essere trattata come un istituto globale che opera sui mercati finanziari internazionali. Nel Mezzogiorno, in particolare, le imprese sono più piccole, meno strutturate, spesso meno digitalizzate e con meno accesso al capitale. Tuttavia, sono anche quelle che tengono in vita l’economia reale, creano occupazione, presidiano i territori.
Uniformare tutto significa disconoscere queste differenze. Significa, di fatto, indebolire il tessuto produttivo e lasciare spazio – come ammonisce lo studio UIF – a chi del denaro fa strumento di controllo e di potere illegale. In questo scenario, il ruolo delle Banche di Credito Cooperativo deve essere valorizzato, non ostacolato ed interpretato come presidio di legalità e sviluppo.
Le BCC conoscono bene le comunità, interpretano i bisogni, accompagnano le imprese nei momenti difficili, e lo fanno con una logica mutualistica, non speculativa. Laddove insiste una BCC, il territorio è più presidiato, più consapevole, più protetto. La loro prossimità al territorio rappresenta un vero e proprio “deterrente sociale” contro l’usura e la penetrazione criminale, perché offrono un’alternativa credibile, legale e umana all’accesso al denaro.
Non è solo una questione economica: è una forma concreta di “tutela sociale”, di “educazione finanziaria” e di “sostegno alla dignità delle persone e delle imprese”. Per questo occorre ripensare la proporzionalità normativa: non per allentare la vigilanza, ma per renderla giusta, sostenibile e coerente con le diverse realtà economiche.
L’obiettivo non è chiedere privilegi, ma riconoscere differenze. Perché uguaglianza formale, quando applicata a contesti diseguali, diventa ingiustizia sostanziale. Anche le parole del Governatore Panetta, secondo cui «Le banche di credito cooperativo sono un modello distintivo, ma non sono prive di debolezze», meritano riflessione e responsabilità.
La finanza cooperativa resta un modello unico, fondato su valori solidi, ma deve sapersi evolvere: rafforzare la gestione del rischio, la qualità del credito, la capacità di innovare. Serve un nuovo equilibrio tra localismo e competitività, valori e sostenibilità. Investire in tecnologia, formazione e capitale umano significa trasformare la prossimità in forza moderna. Restare fedeli ai propri valori non significa restare fermi, ma cambiare per servire meglio le comunità.
E tutto ciò è possibile anche grazie alla guida e alla vicinanza delle Capogruppo dei Gruppi Bancari Cooperativi, che rappresentano un punto di riferimento strategico e operativo per le BCC, senza mai snaturarne l’identità territoriale.
Come scrivevo nel mio editoriale “Il Punto di…” del 22 maggio 2023, “Il tempo è davvero scaduto”. Parole che risuonano, purtroppo, attuali come non mai. Un sistema bancario troppo rigido non solo rallenta la crescita, ma crea terreno fertile per l’illegalità. È un paradosso che chiude le porte alle imprese fragili ma sane, proprio quelle che più hanno bisogno di fiducia e sostegno. E così, come già prefiguravo allora, si rischia di alimentare indirettamente l’usura e la finanza criminale.
L’analisi dell’UIF, oltretutto, lo conferma con parole inequivocabili: «Durante le fasi di crisi economica è essenziale garantire l’accesso al credito per le imprese fragili ma sane. Il sostegno finanziario non è solo una questione di politica economica, ma anche di prevenzione». Un messaggio chiaro, che chi vive il territorio conosce bene.
C’è bisogno di un credito che unisce fiducia e responsabilità. Il tempo, oggi più che mai, è scaduto. Serve un cambio di rotta deciso: una revisione della proporzionalità regolamentare, un riconoscimento pieno del valore delle banche locali e del loro ruolo di presidio economico e civile. Il credito che serve al Paese non è quello che si limita a rispettare parametri, utilizzando solo algoritmi, ma quello che riconosce il valore delle persone, delle storie, della loro dignità e delle possibilità e potenzialità dei territori. Solo così potremo continuare a dare credito – nel senso più vero del termine – ai territori, alle persone e alla speranza di un Paese che non vuole arrendersi.


