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Salari in Italia: perdita di potere d’acquisto record nel G20, serve una nuova politica per i redditi – di Maurizio Sacconi per Vallo Più

04/02/2013 Roma, Rai. Trasmissione televisiva Porta a Porta. Nella foto Maurizio Sacconi

di Maurizio Sacconi

L’Organizzazione Internazionale del Lavoro segnala con il suo periodico rapporto sui redditi da lavoro dipendente come in Italia i salari abbiano registrato una significativa perdita del potere d’acquisto rispetto al 2008, primo anno della grande crisi finanziaria. Sarebbe l’andamento peggiore tra i Paesi del G20. VI avrebbero concorso l’indicatore utilizzato per i contratti nazionali che non considera i beni energetici importati, la bassa produttività nei servizi, gli insufficienti investimenti tecnologici, le moltissime piccole imprese per definizione senza contrattazione aziendale.

Si confermerebbe inoltre una progressione delle retribuzioni essenzialmente legata all’età con trattamenti punitivi verso i giovani rispetto agli altri Paesi avanzati. Negli ultimi due anni vi sarebbe stata una positiva inversione di tendenza, grazie anche alla riduzione del cuneo fiscale, ma non tale da recuperare il gap accumulato in precedenza.

Se le analisi sono interessanti, mancano tuttavia nel Rapporto considerazioni critiche sul nostro modello di contrattazione collettiva che costituisce, a parte alcune incursioni giudiziarie, la fonte della nostra distribuzione della ricchezza attraverso i salari. E’ ben vero che vengono accesi due riflettori importanti sui giovani e sulle piccole imprese. Come a dire che i salari non si collegano alla produttività individuale e che la contrattazione di prossimità è largamente inesistente. Sarebbe ora utile un tavolo interconfederale per negoziare nuovi criteri contrattuali ma Cisl e Cgil appaiono organizzazioni di rappresentanza del lavoro profondamente divise. Eppure alcune soluzioni sono evidenti. Se è ben vero che il salario non può essere una variabile indipendente, il suo potere d’acquisto può essere generalmente sostenuto dall’ulteriore sviluppo dei fondi bilaterali che potrebbero coprire non solo sanità e previdenza ma anche l’eventuale assistenza alla sopravvenuta non autosufficienza del lavoratore. Lo stesso contratto nazionale, oltre a garantire il recupero dell’inflazione ex post, dovrebbe individuare uno o più indicatori relativi all’andamento positivo delle imprese cui collegare l’obbligo, in assenza di accordi aziendali, di determinati aumenti retributivi. Manca infine allo stato, una adeguata remunerazione delle scomodità come il lavoro straordinario, notturno e festivo e una significativa diffusione delle premialità legate ad accordi di partecipazione finanziaria dei lavoratori.

Tutti questi elementi aggiuntivi del salario, in quanto meritevoli,  andrebbero sottratti alla tassazione progressiva con una aliquota piatta e definitiva. Insomma, dopo la politica “dei”;redditi che ha controllato (e frenato) gli andamenti retributivi, servirebbe ora una politica “per” i redditi.

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