DI Giuseppe Geppino D’Amico
La presidente dell’Associazione “La Casa di Polla” di Buenos Aires ci ha inviato un breve video relativo alla Chiesa-Santuario di San José de Flores, una delle più belle di Buenos Aires, la prima dedicata a San Giuseppe in America Latina.
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Questo il testo del video tradotto in italiano: “Nel 1803, il nuovo vescovo di Buenos Aires (Benito Lué y Riega) decise di erigere un nuovo santuario nel quartiere di Flores. Dopo l’avvio di diversi cantieri, il progetto di edificazione della nuova chiesa iniziò nel 1830, inaugurata l’anno successivo. Tuttavia, poiché il santuario non riusciva a contenere tutti gli abitanti del quartiere, il parroco padre Feliciano De Vita ordinò la costruzione di uno più grande. Infine, nel 1883, fu inaugurata l’attuale chiesa di San José de Flores, e nel 1912 fu elevata a Basilica Minore dal papa Pio X. L’edificio contiene sculture degli apostoli e l’immagine di San José. La facciata presenta due rilievi rettangolari che espongono episodi biblici e una cupula che si vede da lontano, con un valore simbolico che allude al cielo. In questo santuario, papa Francesco ha scoperto la sua vocazione al sacerdozio”.

Lo riproponiamo ai lettori di Vallopiù per due motivi: perché nella seconda metà del XIX secolo fu ricostruito da Don Feliciano De Vita, originario di Padula, e perché in questa Chiesa maturò la Sua vocazione Jorge Mario Bergoglio, oggi Papa Francesco. La Sua vocazione di risale a quando aveva poco meno di 17 anni: il 21 settembre 1953, in occasione della Giornata dello studente, prima di uscire con gli amici, entra nella chiesa di San José de Flores come “chiamato” da una forza superiore. Lui stesso ha raccontato, molto tempo dopo, che scese dal bus con cui si stava recando a trovare gli amici, entrò in San José, dirigendosi direttamente al primo confessionale sulla sinistra. Fu come una rivelazione e quando terminò di confessarsi ebbe la certezza che doveva farsi sacerdote. Ricordando in seguito la nascita della sua vocazione sacerdotale scriverà: “Mi accadde qualcosa di raro, lo stupore di un incontro. Mi resi conto che mi stavano aspettando. Questa è l’esperienza religiosa: lo stupore di incontrare qualcuno che ti stava aspettando. Da quel momento per me Dio divenne colui che ti precede. Uno lo sta cercando, Lui ti cerca per primo”. Anche da cardinale aveva continuato a frequentare la Chiesa di San Josè e negli ultimi anni, prima di trasferirsi a Roma, vi ha celebrato l’Eucaristia in occasione della domenica delle Palme.
Come già pubblicato su Vallopiù, a Papa Bergoglio ha dedicato due opere in ferro battuto (Il Cristo obreros e la Madonna di Lujan) lo scultore argentino Alejandro Marmo, figlio di un emigrato da San Rufo negli anni ’60 del secolo scorso.
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Di Don Feliciano De Vita e dalla Chiesa di San José de Flores mi sono occupato nel 1995 nel libro “Il coraggio di partire”. Questo il testo del capitolo a lui dedicato, intitolato “Un parroco indimenticabile”. Tra i primi sacerdoti a lasciare il Vallo di Diano dopo l’unificazione del Regno d’Italia troviamo Don Feliciano De Vita. Nato nel 1827 a Padula da Gregorio e Mariarosa Moscarelli, iniziò gli studi nel suo paese natio per poi entrare nel Seminario Conciliare di Teggiano dove ben presto di distinse fra compagni e condiscepoli per la vivacità del suo ingegno e per le sue preclari qualità tanto da essere nominato docente nello stesso Seminario prima dell’ordinazione sacerdotale. Si dedicò con particolare impegno alla predicazione e ben presto divenne uno dei predicatori più richiesti dell’intera Diocesi. Verso la fine del 1866 decise di trasferirsi in Argentina e, a quanto è dato sapere, fino al momento della partenza tenne all’oscuro di questa sua decisione anche i familiari perché convinto che la sua decisione non sarebbe stata approvata dai congiunti e dai tanti estimatori i quali non avrebbero rinunciato facilmente alla sua azione pastorale.

In Argentina Don Feliciano giunse il 19 febbraio 1867 e, dopo poco tempo, tra la sorpresa generale, era già in grado di tenere la prima predica in lingua spagnola dedicando un panegirico alla Vergine della Misericordia. Il 24 agosto dello stesso anno, a soli sei mesi dal suo arrivo in Argentina, mons. Escalda lo nominò vice parroco di Ayacucho che ancora non era stata elevata al rango di parrocchia. In poco tempo Don Feliciano riuscì a costruirvi una Chiesa e la casa parrocchiale. L’anno dopo fu nominato parroco di Carmen de Areco dove rifece la Chiesa dotandola anche della casa parrocchiale. Il 26 aprile del 1878 la sua abnegazione ed il suo zelo per la gloria di Dio e la cura delle anime furono nuovamente premiati con il trasferimento alla parrocchia di San José de Flores dove, in breve tempo, posò la prima pietra per la costruzione di un grandioso tempio che lascerà come ricordo imperituro ai suoi fedeli e che senza alcun dubbio immortalerà il suo nome. Infatti, con la sua vasta dottrina e con la forza della sua notevole personalità Monsignor De Vita non tardò ad ispirare la simpatia della popolazione tanto da riuscire ad indurre tutti, anche i protestanti, a profondere notevoli somme per l’erezione del nuovo tempio. Nella nuova parrocchia non mancò di curare la carità istituendo, tra l’altro, anche l’associazione delle dame di San Vincenzo de’ Paoli. Per la sua poliedrica attività Don Feliciano fu elogiato dal Sommo Pontefice e complimentato di un calice. Inoltre, fu insignito dei titoli di Canonico Onorario di Buenos Aires, Cappellano d’onore dell’insigne Basilica Lauretana, commensale e familiare perpetuo di Sua Santità ed avvocato pontificio del Circolo di San Pietro.

Dotato di notevole ingegno, in possesso di una vastissima cultura, franco e cordiale, si rese simpatico a tutti coloro che entrarono in contatto con lui ed in poco tempo divenne il prete più popolare della capitale argentina. Nella sua azione fu sempre sostenuto da due moventi: il desiderio di far del bene anche in quella che considerava la Patria di adozione e quello di onorare in modo degno il nome del Santo Protettore della Chiesa e sposo di Maria, nei confronti del quale nutriva una particolare devozione. Nella parrocchia di San José de Flores rimase fino alla morte, avvenuta il 19 ottobre del 1890 dopo una malattia durata tre mesi. Cosciente della gravità della malattia, prima di morire monsignor De Vita diresse ai suoi fedeli una sentita preghiera: “Il cura di San José de Flores, trovandosi gravemente infermo, si raccomanda caldamente alle fervorose preghiere dei suoi fedeli, acciò il Signore gli conceda un altro poco di vita per terminare questo sontuoso tempio monumentale, ovvero che gli conceda una santa morte, che è la più sublime aspirazione del cristiano su questa terra. È questo un favore che gradirà con tutta la sua anima”. Fino all’ultimo, quindi, i suoi pensieri furono rivolti all’ultimazione dei lavori della Chiesa. Purtroppo, la morte lo sorprese quando mancava ancora l’altare centrale. Nonostante questo, però, i fedeli ottennero dall’intendente municipale il permesso di poter seppellire l’indimenticabile parroco all’entrata di quel tempio che Egli aveva voluto con tutte le sue forze. Alla cerimonia funebre intervenne anche l’Arcivescovo di Buenos Aires; i discorsi commemorativi furono tenuti dal connazionale, professore Benedetto Marone, originario di Monte San Giacomo e docente di chimica presso l’Università di Buenos Aires, e da Raffaele Petrucci (in lingua spagnola). La notizia della sua morte ebbe ampio risalto sia sulla stampa argentina che su quella italiana. Qualche mese dopo il dottor Carmine Stabile di Polla, medico presso l’ospedale italiano di Buenos Aires, prima di rientrare definitivamente a Polla, curò una pubblicazione in lingua italiana nella quale furono inseriti tutti i discorsi tenuti in memoria dello scomparso e gli articoli apparsi sulla stampa argentina.
Geppino, un gran bel ricordo. Dovremmo parlare molto di più della nostra emigrazione.