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“Difendete la libertà e la dignità di ogni persona umana”. La lettera pastorale del Vescovo Mons. De Luca (Parte 2)

Le istanze religiose e sociali del Giubileo nell’orizzonte del Primo Testamento
Nella bolla di indizione del Giubileo dell’Anno 2025, Papa Francesco richiama l’attenzione sul senso cristiano della speranza e sul dinamismo del pellegrinaggio che devono caratterizzare anche quest’Anno Santo, perché nella logica del Popolo di Dio non esiste meta senza cammino. Il senso quindi del motto pellegrini di speranza è collegato a quello di rinnovata rinascita che, dopo la tragedia della pandemia, deve poter guardare altre dimensioni delle relazioni sociali, delle grandi crisi tra i popoli, degli scontri armati, del collasso dell’ambiente, del pericolo sempre più insidioso di una guerra allargata su scala mondiale, oggi “combattuta a pezzi”, afferma e ripete da qualche anno Francesco. Passata la crisi acuta della pandemia da Covid, quella che si è aperta con l’immediata era post-Covid è stata subito caratterizzata da altri fattori di preoccupazione, che di fatto hanno depotenziato tutti quei buoni propositi di cui i singoli, i gruppi, i popoli sembravano aver maturato durante la stagione del confinamento sociale forzato. La guerra ha interrotto bruscamente i migliori intenti di solidarietà e di fraternità, come già il Papa aveva prospettato con la lettera enciclica Fratelli tutti (3 ottobre 2020), aprendo la strada dell’incontro, del confronto e della condivisione, non solo nel rispetto delle identità, ma perfino guardando alla realizzazione di una convivialità delle differenze, grazie al potere trasformativo del dialogo, che chiede soprattutto un impegno testimoniale da parte delle religioni, fino ad arrivare a forme concrete di educazione all’alterità.

È lo stesso Papa Francesco nella lettera enciclica sulla fraternità universale a indicare tale priorità per l’immediato presente e il prossimo futuro delle singole comunità umane e per il mondo intero. Il dialogo alimenta la speranza del cambiamento, ovvero della metanoia evangelica. Questa dimensione dell’agire umano va coltivata attivando processi pedagogico-didattici convinti, ricorrenti e continuativi se si vuol dare una svolta reale alle ostilità a favore della convivenza pacifica. Ogni persona può aprirsi all’incontro in modo efficace e con più fiducia, scommettere su incontri significativi, affinché si dismettano gli abiti della discordia e del sopruso, costruendo con consapevolezza e responsabilità società giuste e aperte alle modificazioni sociali senza la mira della prevaricazione. Sì, sorelle e fratelli, dobbiamo investire nella speranza di un mondo giusto e solidale, dobbiamo impegnarci tutti per imparare a dialogare. Noi cristiani abbiamo la piacevole responsabilità di aprirci alla sfida all’educazione alla mondialità, come già il servo di Dio, don Tonino Bello, aveva opportunamente intravisto. Questa è la speranza che alberga nel cuore di ogni persona umana. La prospettiva biblica schiude i credenti a educare il cuore delle persone, affinché la Parola di Dio porti i suoi effetti e possa innescare radical e reali movimenti di conversione. In tal senso siamo difronte a ciò che viene detto “utopia” giubilare proprio in base alle dinamiche di rinnovamento radicale che Jahvè chiede al suo popolo e che oggi spinge i battezzati a stare in modo consapevole nel mondo, rivolgendo speciale attenzione al rispetto e alla tutela della casa comune, abitata da sorelle e fratelli e non da usurpatori e da nemici. Il Giubileo è certamente una tappa di arrivo, ma è specialmente impegno e pegno di trasformazione costante, di deciso cambiamento, una svolta che finalmente porti a relazioni sane, superando il sospetto di essere ostili e stranieri gli uni con gli altri. A partire dagli obiettivi concreti indicati dal Papa, i battezzati sono invitati a essere missionari e testimoni della “nuova rinascita”, affinché il loro impegno nel modo aiuti e sostenga progetti concreti per società giuste e solidali, abitate da “persone umane” capaci di superare il fascino della prevaricazione, delle minacce, e vivificare contesti umani alimentati da relazioni significative, da volti e non da maschere. Contesti umani che abbiano la capacità di investire nel potere del servizio e delle sane relazioni. Questa prospettiva rende concreta la speranza della quale il mondo chiede ai cristiani di illustrare con la vita e le parole, la ragione e il senso (cfr. 1Pt 3,16). Papa Francesco, dal canto suo, in modo incisivo scrive nella Bolla di indizione del Giubileo 2025 che “Tutti sperano. Nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio e attesa del bene, pur non sapendo che cosa il domani porterà con sé. L’imprevedibilità del futuro, tuttavia, fa sorgere sentimenti a volte contrapposti: dalla fiducia al timore, dalla serenità allo sconforto, dalla certezza al dubbio. Incontriamo spesso persone sfiduciate, che guardano all’avvenire con scetticismo e pessimismo, come se nulla potesse offrire loro felicità.

Possa il Giubileo essere per tutti occasione di rianimare la speranza. La Parola di Dio ci aiuta a trovarne le ragioni. Lasciamoci condurre da quanto l’apostolo Paolo scrive proprio ai cristiani di Roma”. La speranza è la chiave che apre al presente e al futuro con uno spirito rinnovato. Per i battezzati l’Anno giubilare è un tempo di grazia, per così dire, intenso, perché richiama ciascuna persona battezzata a riscoprire l’essenza dell’opera della redenzione e ci apre alla novità della salvezza. È Cristo il centro di tale dimensione giubilare, egli è porta della salvezza, pastore delle pecore, pane vivo sceso dal cielo, via, verità, vita. La Porta Santa manifesta in modo allegorico il passaggio alla vita dei figli di Dio, ovvero peccatori perdonati. Tale dimensione, sottolineo con voi a partire dalle riflessioni del Papa, deve considerare il fermento biblico che ispirò anche le prime esperienze del Giubileo. Quest’orizzonte fa riferimento eminentemente alla Parola di Dio e quindi all’esperienza del Popolo d’Israele. Da dove viene questa tradizione del “Giubileo”? Quali istanze si propone la celebrazione dell’Anno del Signore nelle più antiche tradizioni di Israele? Le dinamiche veterotestamentarie di giustizia e verità come oggi possono essere mutuate in questi nostri tempi, alla luce dell’evento di redenzione di Cristo Signore e dell’esperienza millenaria della Chiesa? Partiamo da un dato. Con il termine “giubileo” si intende far riferimento all’ebraico yobhel il cui significato è ariete ed è accompagnato da un altro termine shophar ovvero corno. Il corno di ariete è l’immagine dell’anno di grazia del Signore (Is 61,12), come stabilito da Jahvè. A cosa serve questo corno? È uno strumento dal suono cupo e potente, impiegato in tempi remoti ed ancora in uso per richiamare l’attenzione dei lontani. Secondo il libro di Giosia, questo suono era collegato alla convocazione di celebrazioni e di feste di notevole importanza per Israele. Yobhel era poi usato per indicare lo strumento che ha lo scopo di richiamare l’attenzione di Israele, secondo la prescrizione che il Signore dà a Mosè sul Sinai: «Quando suonerà il corno, allora essi potranno salire sul monte» (Es 19,13). Intanto, l’attenzione si concentra prevalentemente sul testo di Lv 25,10 perché in questo passo “corno di ariete” (yobhel shophar) indica la stessa festività che in genere traduciamo con il termine giubileo, dal latino iubileus, e accostiamo quest’ultimo vocabolo a iubilum, ovvero “giubilo”, “letizia”, “esultanza”, facendo corrispondere la traduzione latina a un tempo da vivere con gioia, per fare festa grande. Per comprendere meglio la fortuna del termine yobhel-iubileus, è necessario fare riferimento all’esperienza dell’esodo vissuta da Israele. Infatti, gli eventi storici dell’esodo hanno consentito al Popolo di Dio di sperimentare l’Alleanza in una dimensione originale sia dal punto di vista sociale sia religioso. Il Patto di Jahvè include la manifestazione della sua misericordia che si esprime nella liberazione, ovvero l’uscita da ogni schiavitù. Questo evento fontale nella vita di Israele diviene “memoriale” (zikkaron). L’esperienza dell’esodo vivifica l’esistenza del singolo ebreo e di Israele nella sua totalità, perché è presente ed operante nel rito pasquale di ogni anno e poi si attua grazie ad azioni programmatiche e fattuali di liberazione da schiavitù in tutte le forme. L’azione di memorializzazione dell’evento esodale offre ad Israele la possibilità di vivere di zikkaron in senso dinamico e propositivo sia sul piano cultuale (il rito pasquale annuale) sia sull’impegno etico-sociale, grazie a provvedimenti raccomandati dalla Scrittura, da attuare a favore della liberazione dalle schiavitù. Nella storia della salvezza il tempo è una categoria fondamentale, perché l’Eterno irrompe nella storia e concede al suo Popolo la possibilità di constatare la sua potenza e quindi di riconoscere la sua indiscussa Signoria. È l’esodo che fa sperimentare a Israele la sua appartenenza a Jahvè: il popolo, uscito dalla terra ostile dell’Egitto in vista della terra promessa di Canaan, è passato da una situazione di schiavitù a quella della libertà. Questo popolo, scelto da Dio, diventa erede delle sue promesse, ma soprattutto è testimone della sua fedeltà. Questa è la carica religiosa e sociale che gli ebrei ricordano ogni giorno secondo quanto scritto: «Mosè disse al popolo: “Ricordati di questo giorno, nel quale siete usciti dall’Egitto, dalla condizione servile, perché con mano potente il Signore vi ha fatti uscire di là: non si mangi ciò che è lievitato”» (Es 13,3). La memoria è la garanzia di fedeltà all’amore incondizionato di Dio per il suo popolo, che con i suoi figli fa memoria dei prodigi realizzati: «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla condizione di schiavitù» (Es 20,2). È qui il senso del riposo sabatico, tempo dedicato esclusivamente a Dio secondo la prescrizione del decalogo deuteronomistico (cfr. Dt 5,12-15). I padroni e i servi si fermano, tutte le attività si arrestano almeno una volta alla settimana, il settimo giorno, al quale va aggiunto l’esodo settennale elargito dal padrone allo schiavo, libero da ogni costrizione (cfr. Dt 15, 12-15). Il forte legame tra la vita religiosa e quella sociale in Israele si comprende proprio a partire dal dono della libertà fatto da Dio e dalla chiamata alla liberazione di cui ogni persona deve beneficiare, anche lo schiavo. Si comprende in quest’ottica la valenza sociale e religiosa con tutte le istanze dell’anno giubilare, come prescritto dal libro del Levitico al capitolo 25. Lo spessore simbolico del numero sette ritma il tempo nella logica della liberazione dal possesso. Calcolando il numero sette per sette volte si ottiene quarantanove anni. Il cinquantesimo anno apre all’anno del giubileo, durante il quale si celebra la liberazione di tutti gli abitanti, la restituzione delle terre a famiglie e ai debitori, il riposo alla terra per evitare uno sfruttamento sfrenato.
Conterai sette settimane di anni, cioè sette volte sette anni; queste sette settimane di anni faranno un periodo di quarantanove anni. Al decimo giorno del settimo mese, farai echeggiare il suono del corno; nel giorno dell’espiazione farete echeggiare il corno per tutta la terra. Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nella terra per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo; ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia. Il cinquantesimo anno sarà per voi un giubileo; non farete né semina né mietitura di quanto i campi produrranno da sé, né farete la vendemmia delle vigne non potate. Poiché è un giubileo: esso sarà per voi santo; potrete però mangiare il prodotto che daranno i campi. In quest’anno del giubileo ciascuno tornerà nella sua proprietà. Quando vendete qualcosa al vostro prossimo o quando acquistate qualcosa dal vostro prossimo, nessuno faccia torto al fratello. Regolerai l’acquisto che farai dal tuo prossimo in base al numero degli anni trascorsi dopo l’ultimo giubileo: egli venderà a te in base agli anni di raccolto. Quanti più anni resteranno, tanto più aumenterà il prezzo; quanto minore sarà il tempo, tanto più ribasserai il prezzo, perché egli ti vende la somma dei raccolti. Nessuno di voi opprima il suo prossimo; temi il tuo Dio, poiché io sono il Signore, vostro Dio (Lv 25,
8-17).

L’anno giubilare, mentre realizza attese terrene, è proiettato alla dimensione escatologica della liberazione integrale da ogni limitazione e da qualsiasi schiavitù materiale e spirituale. In quest’orizzonte, i discepoli del Signore sono inviati alla fedeltà ai suoi comandi, coerenti alla legislazione levitica e al comandamento dell’Amore, soprattutto a difesa della libertà e della dignità di ogni persona umana. Inoltre, i battezzati devono poter vivere la solidarietà, la condivisione e la fratellanza soprattutto con la promozione e la realizzazione di iniziative concrete anche sul versante economico. La comunità ecclesiale è chiamata a testimoniare una nuova visione del concetto di proprietà con lo scopo di ridurre la smania umana di dominio
per riconoscere Dio quale Signore assoluto.

CONTINUA…

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