Search

Una lacrima si fece lava al sole rovente della sera (di Dino Collazzo)

di Dino Collazzo*

Pubblichiamo un primo estratto dal libro Non era tutto da rifare – Storie da un paese del Sud negli anni della grande illusione, Et cetera Libri.

Era un uomo che aveva chiusa nel cuore una tempesta (87).

Matteo Bernardi (88) è stato medico condotto di Brienza per quarantacinque anni, da quando vi giunse giovanissimo e fino a pochi anni prima della morte.

Non era quella che si dice una persona facile. Per nulla incline al compromesso, odiava le ciance, le fole, le mediazioni, le ipocrisie e il quieto vivere. Era pertanto di una schiettezza rude, pane al pane e vino al vino, di intelligenza fulminante ma disposta persino al turpiloquio, quando le circostanze lo richiedevano.

Potremmo dire di lui che fece bandiera della propria esistenza il seguente motto: la parola deve scavare e quando non scava è acqua persa.

La parola corrosiva, quella che stana, che non lascia scampo. La parola che eccelle, quella che si staglia nel contesto della frase e che vive di luce propria. La parola disarmante, che avvilisce e disorienta. La parola invalida, che sembra incapace e invece illumina. La parola di verità, di passione e di compassione, quella civettuola e intrigante, quella insidiosa che insinua e si insinua. In tutti i sensi ed in ogni aspetto della sua esistenza: quando faceva il medico e curava i malati e quando invece si trasformava nel poeta formidabile che sapeva essere.

Giungeva a casa a tutte le ore, quando il bisogno lo richiedeva, nei lunghi anni in cui fu l’unico medico del paese, una folla di vite affidata alle sue cure, pochi minuti per mangiare, un’oretta per riposare e il resto a macinare chilometri per le strade del borgo ed entrare nelle case, ausculta di qua tasta di là, prescrivi questo e vieta quell’altro. Cogliendo l’attimo nella tensione della vita quotidiana: l’idea che balena nella testa, la parola a lungo ricercata che all’improvviso bussa alla porta, eccola, è quella, bisogna appuntarla perché non vada smarrita, su un pacchetto di sigarette, sulla bustina dei minerva, sul ricettario, sulla mano nodosa.

Brienza

Procellaria, una poesia scritta nel ’73 ma pubblicata solo anni dopo in Il tempo e le rughe, vide la luce perché Cataldino D’Elia (che mi ha raccontato l’episodio), mentre il dottore giocava a scopa con il padre Luigino nel bar di mia zia, gli chiese di spiegargli quella parola insolita. Bernardi corse all’ambulatorio e, di getto, fissò sulla carta i suoi versi pigiando con foga i tasti della macchina da scrivere: Forse ci chiamano procellaria / per l’amaro presagio / che intride la pietra del nostro grido / se procellaria è foriera di sventura. Tirò fuori il foglio dal rullo e, di lì a poco, lo consegnò a Cataldino, che lo conserva ancora.

Tu pensi al poeta e ti immagini uno con la testa nelle nuvole, che confonde un’appendicite con un’onomatopea, una febbre malarica con un chiasmo o un’allergia con una allegoria. Macché! Bernardi era medico vero, dotato di quell’istinto rapace che ti consente di mettere a frutto le nozioni acquisite attraverso lo studio meticoloso e individuare i sintomi in uno scatto improvviso, nell’idea che t’illumina per risalire alle cause, immaginare rimedi, consigliare altre strade quando gli strumenti a disposizione non sono sufficienti. Quando però aveva svolto a pieno il suo compito, fra un lazzo e uno sberleffo, una smorfia che gli contorceva il viso, uno spasmo della postura, riemergeva imperativa e leggera l’istanza della bellezza e prorompeva il verso mandato a mente, quello che aveva finito di comporre nella notte insonne, ti percuoteva con la parola improvvisa, ti disorientava con l’interrogativo perverso, ti avvolgeva nel suo vortice lavico e perentorio.

Brienza

Erano gli istanti in cui il tempo diventava di pietra, immobile, definitivo, eterno, liberato da ogni pericolo di corruzione.

Mi chiamo Matteo e vengo dall’osso più osso della Lucania antica e dimenticata, dalle terre aride bagnate ma non redente dall’Agri. L’Agri che posseggo murato nel primitivo scialbore / di quando la vita era scapigliato termitaio, / marziale forgia di cellule vogliose / di programmi, ritmi, genî e non sapeva /a che destino si votava89, quando la luce odorava di giovinezza; / il poco era tanto, tanto il poco / che un colore, una voce / muoveva frane rapide d’amore. / Il mosto, i fichi sui graticci, il santo, / i volti noti, i canti, il gelso moro (90).

Lasciato l’Agri e conquistato il Melandro, questa terra l’aveva posseduta voracemente, attraversando gli uomini e le cose, vivendone il tempo, divorandone i luoghi. Amandola infine di un amore non banale, libero da svenevolezze, affrancato da litanie.

Per tutto un tempo, visse del mondo, spese energie in politica, affrontò battaglie, diede sfogo a passioni forse transitorie, forse no, ripudiate solo quando all’entusiasmo era subentrato il disinganno.

Nel breve appunto biografico pubblicato su Tempo supplementare, diceva di se stesso: Ha esercitato la professione di Medico Condotto per quarantacinque anni: professione medica da lui ritenuta la più schietta e consona alla sua educazione, rigidamente cristiana, ricevuta in famiglia.

L’educazione rigidamente cristiana, e forse la parentela che lo legava a Decio Scardaccione (91), senatore democristiano per varie legislature, lo portarono a rivestire la carica di segretario del partito nella sezione locale dal 1964 al 1966, coadiuvato da Luigino Tortora nelle vesti di segretario amministrativo (92). Fu pure incaricato di ricoprire l’altra di segretario di zona per le sue spiccate qualità e per il fervido attaccamento (93). Gli subentrò, nelle elezioni per il rinnovo degli organi del 1966, Antonio Del Giudice, che insieme con lui fu uomo vicino al Senatore.

Brienza

I tempi erano dei peggiori. Dopo i fatti d’Ungheria del ’56, il sindaco Antonino Viggiano, eletto nelle file del PCI nel ’52 e confermato alle elezioni del ‘56, aveva aderito al Libero Movimento di Azione Socialista, fondato in Basilicata dall’avvocato Felice Scardaccione (94). Viggiano, dopo lunga malattia, moriva il 3 luglio del ’58. Pure essendo prossimo alla fine per il male che ne ha minato ogni resistenza fisica, non abbandonò mai il suo posto di lavoro (95). Per tre volte, in un anno e mezzo, contro di lui erano state presentate mozioni di sfiducia da parte degli assessori e di tre consiglieri che continuavano ad aderire al PCI, essendo però respinte (96).

A seguito della morte di Viggiano, nella seduta presieduta dal consigliere anziano Antonio Morandi, il consiglio elesse sindaco Rocco Lopardo Cardillë, che riportò dieci voti contro i quattro di Morandi (97). Anche Lopardo era esponente della corrente di Azione Socialista, già capeggiata da Viggiano, e la sua elezione riproponeva la frattura già creatasi nelle file dei comunisti. A novembre, accogliendo la proposta presentata da don Giannino Altavista, il consiglio aveva dichiarato la decadenza degli assessori Cappa, Morandi e Pepe del PCI, con dieci voti a favore e sei contrari (98).

Il 15 dicembre ’58 era stata eletta la nuova giunta, composta da Pasquale Varallo, Antonio Collazzo (appartenenti allo schieramento del Sindaco), Giovanni Altavista e Giuseppe Lovito (questi ultimi della DC, eletti rispettivamente con undici e nove voti) (99). A gennaio del 1959, su proposta del  Sindaco, Giovanni Altavista fu nominato con Decreto Prefettizio Assessore Delegato (100). A dicembre dello stesso anno, a seguito delle dimissioni dello stesso Altavista, dell’assessore Lovito e di altri otto consiglieri tutti appartenenti alla maggioranza (Lentini, Morandi, Pepe, Cappa, Palladino, Collazzo, Lopardo Luigi e Lopardo Rocco), il consiglio fu sciolto (101).

Le elezioni del 1960 avevano visto l’affermazione della DC (capeggiata da Mario Petrone, che sarà poi eletto sindaco) con 949 voti contro i 775 riportati dal PCI (capeggiato da Antonio Morandi). La terza lista, degli Indipendenti di sinistra (tra i quali il sindaco uscente), ottenne 161 voti (102).

Già alle elezioni politiche per la Camera dei Deputati del 25 e 26 maggio 1958 il dissenso interno allo schieramento di sinistra aveva segnato il crollo del PCI, passato a 818 voti rispetto ai 1135 del ’53, mentre la DC aveva incrementato i consensi da 693 a 863 (103).

La vittoria democristiana provocò il commento entusiasta di Emilio Colombo, all’epoca ministro dell’Agricoltura e Foreste nel governo Zoli (104), che in un  telegramma inviato alla segreteria della sezione locale scrisse: Vittoria conseguita da forze democristiane contro comunisti riempiemi animo profonda gioia. Compiacciomi vivamente con eletti, dirigenti ed iscritti tutti ed auspicando a vittoria elettorale consegua intensa efficace concorde azione amministrativa.

1 – Continua

Il titolo è un verso tratto dalla lirica Una lacrima di Matteo Bernardi, Tempo supplementare – Poesie e aforismi, Spring edizioni Caserta, 2001.

87. La dedica che Matteo Bernardi pose alla sua raccolta di poesie Il tempo e le rughe, Curto Editore 1995, è la seguente: A mio padre Adamo a mia madre Cherubina, zeffiro e tramontana, che mi chiusero nel cuore una tempesta.

88. Nato a Missanello il 29 novembre 1919, morì a Brienza. Conseguì la maturità classica al Liceo “Quinto Orazio Flacco” di Potenza, quindi la laurea in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli studi “Federico II” di Napoli. Fu autore di tre raccolte di poesie: Tempo di Pietra del 1968, Il tempo e le rughe del 1995 e Tempo supplementare del 2001.

89. Da Memoria dell’Agri, in Il tempo e le rughe.

90. Da Adolescenza, in Il tempo e le rughe.

91. Nato a Sant’Arcangelo il 28 marzo 1917, morì a Roma il 29 marzo 2003. Fu economista, politico, agronomo e professore universitario, tra i maggiori esponenti della Democrazia Cristiana locale. Fu pure sottosegretario al Ministero dell’Interno e deputato al Parlamento europeo.

92. M.D. Collazzo, Il nuovo segretario sezionale della D.C., in Il Mattino, 4 febbraio 1964.

93. M.D. Collazzo, Il nuovo direttivo della sezione DC di Brienza, in Il Mattino, data non reperibile.

94. Un manifesto di ex comunisti alla vigilia del Congresso del PCI, in La Gazzetta del Mezzogiorno, 5 dicembre 1956. Nell’articolo si menziona un manifesto con le firme dell’avv. Domenico Gallerano, già ispettore nazionale della Lega delle Cooperative, di Emanuele Pietragalla, già direttore dell’ICA di Potenza, di Michele Blasi, consigliere nazionale dell’ANPI, di Antonio Vazza, già segretario della Camera del Lavoro di Tito, di Luigi Romeo, Elio Ianniello, dell’avv. Felice Scardaccione, segretario della sezione del PCI di Potenza e di Antonio Viggiano. Nel manifesto, rivolto ai “compagni” partecipanti al congresso provinciale del partito comunista, tra l’altro si denuncia la solita “farsa di una libera manifestazione di discussione e di intenti, con la sostanziale imposizione di una scelta politica già fatta e determinata.

95. M.D. Collazzo, In lutto Brienza per la morte del Sindaco, in Il Mattino, 14 luglio 1958.

96. M.D. Collazzo, Dissidio a Brienza tra Sindaco e Giunta, in Il Mattino, 28 febbraio 1957.

97. M.D. Collazzo, Eletto a Brienza il nuovo sindaco, in Il Mattino, 30 luglio 1958.

98. M.D. Collazzo, Dichiarati decaduti gli assessori assenteisti, in Il Mattino, 26 novembre 1958.

99. M.D. Collazzo, Varata la nuova Giunta al Consiglio Comunale di Brienza, in Il Mattino, 15 dicembre 1958.

100. M.D. Collazzo, Il prof. Altavista assessore delegato, in Il Mattino, 27 gennaio 1959.

101. M.D. Collazzo, Nuovamente in crisi il Comune di Brienza, in Il Mattino, 19 dicembre 1959.

102. M.D. Collazzo, Finito a Brienza il mito del P.C.I., in Il Mattino, 14 novembre 1960.

103. M.D. Collazzo, Sbandamento tra le fila del P.C. nella vecchia roccaforte di Brienza, in Il Mattino, 13 giugno 1958.

104. Le Camere erano state sciolte il 24 marzo per le polemiche seguite al processo al vescovo di Prato, monsignor Pietro Fiordelli, imputato per diffamazione avendo definito “pubblici concubini” due coniugi che si erano sposati con rito civile. Fiordelli non si presentò al processo, non riconoscendo la giurisdizione italiana su materia riguardante il governo spirituale dei fedeli. Il 6 marzo il Senato affrontò la questione dell’ingerenza del Vaticano e il discorso del ministro Fernando Tambroni provocò aspre proteste, con i gruppi democristiano e comunista che giunsero alle vie di fatto. Emilio Colombo, nel governo Fanfani che si insediò il 2 luglio ’58, fu poi Ministro per il Commercio con l’Estero.

Sono nato nel ’62, l’anno della morte di Marilyn, del primo singolo dei Beatles, del Concilio Vaticano II, della crisi missilistica di Cuba e del primo numero di Diabolik. Ho compiuto studi classici e poi giuridici. Ho vissuto, per fortuna o maledizione, in pratica sempre a Brienza, borgo superbo e allo stesso tempo detestabile di Basilicata. Scrivere mi aiuta a vivere (ma non materialmente). Ho pubblicato “L’Inferno, la Chiesa cattolica e i bambini. Il caso Irlanda”, “Brienza, il sortilegio della memoria” (insieme con mio fratello Mariano e Angelina Carbone), qualche articolo sparso. Amo José Saramago, Antonio Lobo Antunes e gli autori spagnoli e sudamericani (in particolare Atxaga,Cercas, Aramburu, Borges, Vargas Llosae Mutis). Ho scritto questo libro per amore, disperazione e rabbia, perché “un paese ci vuole …ma non è facile starci tranquillo”.

Condividi l'articolo:

1 comment

Write a response

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Close
Magazine quotidiano online
Direttore responsabile: Giuseppe Geppino D’Amico
Close