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Vialli, il mito gentile della mia generazione – di Angela D’Alto

di Angela D’Alto

Il 1991 fu un anno palindromo. Per la mia generazione era l’inizio della adolescenza e la fine dell’essere bambini. Avevamo appena smesso di giocare con i cristall ball, con indovina chi, di strafacciarci sul brecciolino della villa comunale e di guardare Hazzard e Holly e Benji in tv.

Ora prendevamo il pullman per andare a scuola, avevamo il diario, per lo più la Smemoranda, e lo zaino Invicta. Portavamo orribili jeans corti e larghi, gli Energie, felpe enormi e ai piedi le cult con il ferro sotto la punta. In tv c’era Fiorello col Karaoke, Beverly Hills 90210, in gita si cantavano i Doors e leggere Baudelaire faceva figo assai.

Nel 1991, il 19 maggio, la Sampdoria vinse il suo primo (e ultimo scudetto) della sua storia. E se il Napoli dello scudetto aveva avuto in Maradona il suo protagonista assoluto, il suo eroe, l’uomo che da solo aveva cambiato volto e storia di una squadra e di una città, al contrario quella della Samp pareva una vittoria di squadra: di un gruppo di calciatori di talento, con una grande fame di vittoria. Su tutti, Roberto Mancini e Gianluca Vialli. Due talenti cristallini, complementari, autentici. L’Italia di quegli anni era pazza di Vialli. Un eroe normale, dall’aria un po’ svagata, con l’istinto del gol alla Paolo Rossi ma più fisico, più capace di costruire, moderno attore di un calcio già profondamente cambiato nei ritmi di gioco.

Gianni Brera, nei suoi indimenticabili pezzi del lunedì, li aveva definiti ‘i dioscuri del gol’, Vialli e Mancini. Chissà se Luca e Roberto conoscevano la storia di Castore e Polluce, mi chiedevo leggendolo come fosse la cassazione a sezioni riunite del calcio italiano.

Quell’anno stava per finire, e dopo l’uscita dell’ultimo album dei Queen al completo, Innuendo, Freddy Mercury morì di Aids. The show must go on chiuse la carriera e la vita di Mercury. Vialli continuava nella sua, di carriera, passando alla Juve e continuando a vincere, fino alla Champions League del 1996. Un finale di carriera nel Chelsea come allenatore-giocatore e poi, dal 2002, la nuova avventura di allenatore.

Non ugualmente brillante la sua storia con la Nazionale Italiana, dal mondiale sotto tono di Italia 90 fino alla mancata convocazione di USA ‘96. Si disse più volte che il suo rapporto con Sacchi fosse pessimo, e probabilmente c’è da crederci. Ma Vialli, al di fuori dei campi di calcio, ha fatto parlare sempre pochissimo di sé. Quasi un anti divo, dalla vita così diversa da quella rutilante, tragica, mitica, straziante di Maradona.

Nel 2017, arriva la notizia della malattia. Brutta, bruttissima. Di lì, le cure affrontate con una dignità e una forza d’animo eroiche. Vialli era attaccato alla vita con tutta la forza che aveva. Quella stessa forza che lo portò, insieme al suo gemello Mancini, allenatore della Nazionale Italiana, a vincere l’Europeo come capo delegazione.

Era l’11 luglio 2021, Donnarumma aveva appena parato ultimo calcio di rigore per gli inglesi. L’Italia era campione d’Europa. In uno stadio di Wembley ammutolito, la Nazionale si riversava in mezzo al campo per festeggiare. E in mezzo al campo, due uomini soli, fermi, stretti in un abbraccio senza fine: Gianluca Vialli e Roberto Mancini.

Trent’anni esatti dopo quello storico scudetto, ancora loro: Mancini e Vialli. Ormai uomini, con un carico di dolore e di non detto, un destino segnato e un abbraccio muto, lungo, nel quale sono svaniti insieme, in quello spazio che Chandra Livia Candiani definisce ‘lo spazio di carità tra te e l’altro’. Oggi, Gianluca Vialli è andato via. La sua battaglia si è conclusa in un ospedale di Londra, a 58 anni.

Brian May aveva scritto ‘the show must go on‘ per un Freddy Mercury ormai malato, che riuscì a registrarla con la forza della disperazione, prima di andar via. Allo stesso modo, Mancini ha scritto per Vialli la loro ultima storia di calcio e di amicizia, portando insieme l’Italia a quella vittoria tanto attesa e desiderata. È come se Mancini, il dioscuro, l’amico di tutta la vita, gli avesse detto: questa vittoria è per te, amico. Questa gente, questi cori, questa festa, è per te. E ora piangi pure, piangi tra le mie braccia…

“L’universo non ha un centro,

ma per abbracciarsi si fa così:

ci si avvicina lentamente

eppure, senza motivo apparente,

poi allargando le braccia,

insieme,

nello spazio di carità

tra te

e l’altro.”

Ciao, Luca.

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4 comments

  1. Angela D’Alto mi sorprende sempre. Ha il culto dell’amicizia e te la trovi dinanzi, anche dopo anni di lontananza, a testimoniarti la sua vicinanza.
    Il ricordo di Vialli è il più bello, il più autentico che abbia letto o ascoltato dopo la ferale notizia.
    Inquadrare il grande calciatore (che sicuramente non ha conosciuto di persona) nel passaggio adolescenziale in cui imparò a conoscerlo e a tifarlo è espressione di quella carica emotiva che è il suo tratto identitario. L’ambientazione del ricordo nella routine dell’andirivieni tra Monte San Giacomo e Sala Consilina mi ha fatto rivivere l’esperienza che fu anche mia molti anni prima che Angela venisse alla luce. In quegli anni, a dire il vero, ebbi modo di conoscere la bella mamma di Angela, più giovane di me, ma frequentata pochissimo, perché il suo via vai non era con Sala Consilina, ma con Salerno.
    Ho reincontrato Barbara negli anni del mio mandato al Parlamento europeo, quando fu una dei pochissimi docenti del Vallo di Diano a invitarmi a parlare di Europa ai suoi allievi. Ho conosciuto Angela nella campagna elettorale del 1994 in occasione della campagna elettorale che mi vide eletto alla Camera dei Deputati. Quell’esperienza fu molto bella, perché mi ritrovai a godere del sostegno di tanti giovani; tra questi c’era Angela, un’attivista politica fuori dal comune.
    Quando nel 1996 il mio impegno politico si concluse e subito dopo imboccai una nuova esperienza di vita, rimasero ottimi rapporti con tante delle persone che mi avevano sostenuto, in particolare Carmine Pinto, Angela D’Alto, Maddalena Di Maio, Miky Sormani; la lista sarebbe troppo lunga e non è questa la sede per completarla. Voglio solo ricordare che Angela più di chiunque altro ha mantenuto sempre un rapporto di amicizia con me, sostenendomi in alcune vicende che mi hanno interessato nel mio ventennio milanese; mi inviava i suoi articoli, mi informava dell’impegno narrativo di Barbara, facendomi avere “La stanza delle mele”, un romanzo degno di un premio Strega, e, soprattutto, “Quando ti metterai in viaggio”, che mi fece compagnia nei mesi di degenza in clinica nel 2019, alle prese con problemi di salute non di poco conto. Quel viaggio, costruito incastrando passaggi di opere di illustri scrittori, mi risultò un esperimento tanto stimolante da favorire in me il recupero della fiducia nella guarigione e nel futuro.

  2. L’adolescenza ha bisogno di miti ed Angela ricorda il volto sorridente di un campione del calcio che fece sognare una intera generazione, portando lo scudetto in una città improbabile, di solito ai margini della grandi società calcistiche. Percorrendo il sentiero del suo destino Vialli ha incontrato la malattia, il dolore ed è stato , tuttavia, a distanza di anni capace di far tornare a sognare quella generazione che lo aveva amato, offrendo il mistero di un abbraccio di felicità e di un volto sofferente. Nello stesso mito e nel percorso di vita della stessa generazione si sono avvicendati il successo, la sofferenza e la morte e questo rende il mito di Vialli drammaticamente vero in una epoca, quella contemporanea, in cui i personaggi hanno il dovere di essere sempre e, comunque, perfetti e vincenti. Forse mai come oggi il mondo ha bisogno di miti, che ricordino la fragilità della nostra condizione, capaci di soffrire ed anche di perdere senza mai abdicare alla propria umanità. Angela, hai descritto con una prosa toccante, a volte con frammenti di lirismo la storia bella e infelice di questo eroe della tua adolescenza, che è andato via.

  3. L’adolescenza ha bisogno di miti ed Angela ricorda il volto sorridente di un campione del calcio che fece sognare una intera generazione, portando lo scudetto in una città improbabile, di solito ai margini delle grandi società calcistiche. Percorrendo il sentiero del suo destino Vialli ha incontrato la malattia, il dolore ed è stato, tuttavia, a distanza di anni capace di far tornare a sognare quella generazione che lo aveva amato, offrendo il mistero di un abbraccio di felicità e di un volto sofferente. Nello stesso mito e nel percorso di vita della stessa generazione si sono avvicendati il successo, la sofferenza e la morte e questo rende il mito di Vialli drammaticamente vero in una epoca, quella contemporanea, in cui i personaggi hanno il dovere di essere sempre e, comunque, perfetti e vincenti. Forse mai come oggi il mondo ha bisogno di miti che ricordino la fragilità della nostra condizione, capaci di soffrire ed anche di perdere senza mai abdicare alla propria umanità. Angela, hai descritto con una prosa toccante, a volte con frammenti di lirismo la storia bella ed infelice di questo eroe della tua adolescenza, che è andato via.

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